Dinnanzi all’argomento centrale affrontato nel Sinodo straordinario, p. Michale Ryan L.C., sacerdote dei Legionari di Cristo, professore ordinario in filosofia presso l’Ateneo Regina Apostolorum, collaboratore nella attività di Crescere in Famiglia ed autore di numerose pubblicazioni sul matrimonio e sull’etica sociale, spiega a ZENIT perché la famiglia ha un ruolo centrale nella Chiesa e nella società, quali sono le problematiche che la affliggono e quali le soluzioni da adottare per salvaguardare l’armonia della vita coniugale. Di seguito l’intervista.
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Perché la Chiesa ha deciso di dedicare particolare attenzione alla famiglia?
Da sempre, la Chiesa dedica attenzione alla famiglia ed è possibile notarlo fin dall’inizio della sua storia: partendo da San Agostino per poi giungere ai Concili fino al Sinodo del 1981 e la seguente esortazione Familiaris consortio. Purtroppo, come diceva la stessa Familiaris consortio al punto 1, la famiglia, più di altre istituzioni, viene investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni sociali e culturali. Oggi queste trasformazioni, hanno raggiunto un alto livello di guardia spingendo ancor piú la Chiesa ad intervenire per porre un gesto di aiuto verso ciò che è riconosciuto come il nucleo essenziale dell’ origine della persona.
Quali sono le problematiche che, in linea generale, incidono negativamente sulla stabilità della famiglia negli ambienti poveri come in quelli ricchi?
Indipendentemente dalla classe sociale, credo che queste problematiche risiedano nell’incapacità di molte coppie di far crescere con consapevolezza la loro relazione. Il rapporto coniugale, fin dall’inizio, deve essere nutrito da un amore romantico, passionale ed emozionale per poi maturare con gli anni, fino a diventare un amore benevolo, inteso come la capacità di accettare l’altra persona nella sua diversità.
Molti affermano che si sta perdendo il vero significato di “vita coniugale”. Qual è, secondo lei, il motivo?
Penso che la causa di questo smarrimento, sia la perdita del vero significato di matrimonio e della sua espressione nel rapporto intimo sessuale. Una cosa, è riferire ad un amante il bene che gli vogliamo, apprezzare la sua bellezza, il trovarsi bene nel stare insieme a lei, un’ altra cosa, è pronunciare davanti alla nostra sposa o al nostro sposo: “Accolgo te, nella gioventú e nella vecchiaia, nella salute e nella malattia e ti saró fedele per tutta la vita”. Credo che oggigiorno, si sia persa la bellezza del Sacro vincolo del Matrimonio e il considerarlo come un “amore di Lusso”. È importante comprendere il non dover perdere il vero significato di vita coniugale per accontentarci con meno. Come disse Papa Francesco, “non lasciare che ci rubino l’ideale del matrimonio”.
Perché, invece, i giovani oggi tralasciano il matrimonio e scelgono la convivenza?
Le cause possono essere varie: l’insicurezza nella relazione intesa come una messa in prova sull’effettiva stabilità della coppia; i problemi economici; l’ignoranza del valore sociale ed ecclesiale del matrimonio e della famiglia per poi, sfociare nella classica domanda: “Che differenza fa un pezzo di carta?”; la lussuria ed, infine, l’odierna facilità nell’avviare un atto di separazione.
Fra le numerose questioni affrontate dal Sinodo, vi è anche l’aumento dei divorzi. Secondo lei, quali sono le cause che spingono le coppie a giungere a tale conclusione?
Effettivamente i divorzi aumentano in proporzione al numero di matrimoni anche se, al contempo, stanno diminuendo in quanto diminuiscino le coppie che intendono unirsi in matrimonio. Le cause possono essere di due tipi: la presenza di patologie, più o meno pronunciate, che rendono la relazione molto fragile oppure, e una gestione distruttiva davanti a situazioni difficili o banali. Se nel primo caso la coppia necessitererebbe di un aiuto professionale per alleviare gli effetti negativi, nel secondo, si dimostra la mancata capacità di ascoltare l’altra persona mentre quest’ultima manifesta un disagio, una pena, un dolore o una preoccupazione. Si tende a reagire con atteggiamenti di difesa e di negazione che feriscono il coniuge, abbandonandolo in un stato si frustrazione. Purtroppo, questi avvenimenti tendono a ripetersi fino a giungere ad una definitiva rottura della coppia.
C’è una grande discussione sul rapporto tra dottrina e pastorale. La dottrina è la legge e la pastorale dovrebbe essere la pratica che per la Chiesa Cattolica è essenzialmente misericordia e carità. L’ipotesi di una pastorale per far accedere alla comunione i divorziati risposati ha suscitato un intenso dibattito. Qual è il suo parere in proposito?
Penso che il rigore fino ad ora adottato a non far accedere alla Comunione i divorziati, non debba essere presentata come un giuduzio pubblico verso la loro persona ma, piuttosto, come una richiesta di rispetto verso l’ideale di matrimonio che Cristo ci ha insegnato. In tal modo, essi non vivranno con il sentimento di non riestrare nell’“essere ideale”. Essi cercheranno sempre di non sentirsi esclusi o, di non vivere in disparte. Penso che la comunità debba fare ancora molto per poterli aiutare da questo punto di vista.
Infine, secondo lei, quali sono le iniziative o gli strumenti sui quali far affidamento per poter giungere ad una concreta soluzione circa gli aspetti negativi presenti all’interno della famiglia?
Da questo punto di vista, credo fermamente che ogni coppia coniugale debba discutere apertamente per comprendere con precisione le loro mete e i loro obiettivi oltre che stabilire, quali saranno i futuri punti di riferimento durante il loro viaggio e che, poi, si trasformeranno in indicatori sull’effettivo proseguimento di una giusta giusta rotta o di quando, ci sarà bisogno di fermarsi per poter riflettere e ricostruire l’armonia nel rapporto. Inoltre è essenziale nutrire l’umiltà e il senso comune nel chiedere aiuto se, da soli, non si riescono a rimuovere quei granelli di sabbia che impediscono di far girare la ruota.