Un particolare aspetto di questa sensibilità pastorale del giovane mons. Montini è venuta alla luce da un significativo carteggio autografo conservato nell’Archivio Don Orione di Roma. Si tratta di una dozzina di lettere indirizzate a San Luigi Orione, a partire dall’anno 1928. Quasi tutte hanno per argomento l’aiuto a sacerdoti in difficoltà – lapsi, come erano chiamati allora – da sovvenire e da indirizzare al bene. È del 27.12.1928 la prima lettera con cui mons. Montini tratta con Don Orione dell’aiuto a un sacerdote in difficoltà.“La prego per la carità di Nostro Signore di far accogliere in qualche Sua casa di Roma l’ex Sacerdote Devoti (per discrezione il nome è cambiato). Egli aveva lasciato l’abito e la vita sacerdotale, dopo sedici anni di buon ministero parrocchiale”.
La lettera forse costituisce il primo contatto di mons. Montini con Don Orione. Egli adduce due titoli di accreditamento personale in questa iniziativa. Il primo è la carità sacerdotale: “Non ne ho alcun incarico, né alcuna autorità, salvo quella di chi prega per un confratello, incontrato casualmente. Questi è ancora abbastanza giovane, ha buone doti di attività, e sembra disposto a tutto pur di togliersi dalla penosa situazione in cui da alcuni giorni si trova: era presso un Istituto che, stanco di averlo a carico, nonostante le preghiere di mons. Canali e del Vicariato, lo ha messo con i Carabinieri alla porta. Ora sta in albergo tentato dalla miseria e dall’abbandono con disperati pensieri”.
Il secondo titolo di credito è la fiducia nella bontà di Don Orione: “Non so se Ella mi ricorda: io La conobbi a Genova, quando Lei or son quasi due anni tenne una riunione per la Sua opera: io stavo con Franco Costa. Ma certo io ricordo la Sua bontà, ed è questa che mi lascia sperare di non esser ricorso indarno ad un amico dei poveri come Lei”. Anche a Don Franco Costa, che poi diverrà Vescovo e Assistente generale dell’Azione Cattolica, rimase impresso quell’incontro al Piccolo Cottolengo di Genova, e ricordò pure il commento di mons. Montini: “Vedi, don Franco, ora mi trovo quasi a disagio pensando a quel che dovrò dire agli universitari, perché noi diciamo delle parole, mentre quando si ascolta Don Orione ogni parola è una semente di vita…”.
Ma torniamo al nostro argomento. Don Orione comunicò subito a mons. Montini la propria disponibilità a soddisfare la sua richiesta. Chiese ulteriori informazioni e garanzie sul conto del sacerdote da aiutare. “Veneratissimo D. Orione, mons. Canali La ringrazia della carità che Ella dimostra per il Sig. Devoti – scrive nuovamente mons. Montini il 4 gennaio 1929 –. Mi pare di poterLa assicurare con tranquilla coscienza circa le clausole poste da Lei per l’accettazione; e cioè del contegno corretto del Sig. Devoti, della sua volontà di rimettersi a lavorare bene per la causa del Signore, e della sua disposizione a tenere il segreto circa la sua condizione di Sacerdote finché non sia (se potrà essere) riabilitato. Non mi risulta che sia stato mai nelle Marche: egli accetta di andarvi sebbene preferisse restare a Roma per poter spingere in avanti la sua causa presso il S. Uffizio: ma fiducioso che Lei, occorrendo, gli sarà anche in questo buon avvocato, partirà volentieri appena Ella gli darà disposizioni precise.
Non Le dico quanto bene abbia fatto anche a me la lettera Sua: l’esasperazione di questo poverino e l’impossibilità di poterlo trarre d’impaccio mi faceva assai pena. Speriamo che la Sua opera sia la prima a risentire buoni vantaggi da questa opera di carità. (…) È uno che ha bisogno d’essere trattato con forza e con amore e messo lavorare molto, così egli desidera”.
E Don Devoti fu accolto nella casa dei Figli della Divina Provvidenza di San Severino Marche. A distanza di pochi giorni, mons. Montini manifestò subito la propria gratitudine a Don Orione: “La ringrazio della bontà che Ella ha usato a quel poverino e che spero gli riuscirà di balsamo all’anima prima fuorviata, ora inasprita” (lettera del 12.1.1929).
Anche le sorelle del sacerdote, Emilia e Maria, scrissero una lettera commovente a Don Orione, il 9 maggio successivo, rallegrandosi per la ripresa del fratello: “Ella non può credere quanto sollievo ci abbiano dato le sue parole, dopo un’attesa e un silenzio che durava da più di tre mesi e che ci teneva preoccupatissime non tanto per quello che potesse riguardare la sua salute corporale, quanto e soprattutto per quella dell’anima, dopo una scossa che l’aveva tenuta in rovina per tanto tempo”. Fu una vicenda a lieto fine, da quanto i documenti ci dicono.
Questo episodio di soccorso a un sacerdote in difficoltà non dovette essere un fatto isolato nella vita del giovane Montini, minutante della Segreteria di Stato, se, il 2 agosto successivo, egli ricorre nuovamente a Don Orione per presentare un altro caso. “Voglia nella Sua bontà dare un’occhiata anche a questa miseria e mi dica se la Madonna non Gli ha suggerito il modo per recarvi qualche soccorso”. Dal seguito della lettera, si evince che mons. Montini curava questi contatti non come semplici “pratiche” di ufficio, ma con il coinvolgimento personale. Infatti, dichiara: “Se Ella crede che si possa e si debba fare qualche cosa in proposito da parte mia (veramente non saprei a che sia capace la mia pochezza, specialmente in questo campo) me ne faccia cortesemente avvertito”.
L’aiuto ai sacerdoti in difficoltà, per mons. Montini, era diventato un personale e nascosto campo di apostolato. Confida a Don Orione: “Mons. Canali ha di nuovo mandato a me simili casi con la preghiera di trovare qualche rimedio o almeno di dare qualche conforto” (lettera del 2.8.1929). Audace per la giovane età ma concreto per l’esperienza già acquisita, mons. Montini nella medesima lettera fa una proposta al Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza: “Ho fatto una discreta esperienza sulla necessità che sorga un’opera di assistenza per questi infelici, a cui più nessuno vuol porgere la mano… Oh, se il Signore Le ispirasse di fondare anche questa opera, D. Orione, come anch’io ne lo benedirei!”.
Non si sapeva, prima che venissero alla luce queste lettere, che una proposta in tal senso fosse venuta a Don Orione dal giovane mons. Montini. Di fatto, negli anni ’30, Don Orione destinò per questi sacerdoti un ambiente riservato e capace di favorire la loro ripresa umana e spirituale. “Per raccogliere i preti caduti durante la guerra, e che mano mano ritornano pentiti – scrisse a un ecclesiastico che gli chiedeva aiuto in favore di un sacerdote – la Divina Provvidenza mi fece acquistare una casa adatta a Varallo Sesia, e anche là circa L. 200.000, e ho fatto un passo, che ora sento che fu troppo lungo” (lettera del 25.11.1932).
Nella collaborazione tra mons. Montini e Don Orione, il balsamo della carità congiunto all’azione giuridica portò alla redenzione di vari sacerdoti lapsi. Se ne accenna in una lettera dell’11 Sett.1929. “Veneratissimo D. Orione, l’ottimo Dott. Costa, di Genova, mi ha portato i Suoi saluti, con immenso mio piacere, per sapermi da Lei ricordato, e, spero, nel ricordo della preghiera e della carità. La ringrazio sentitamente. Tempo fa Le scrissi circa la riabilitazione d’un Sacerdote: ha ricevuto la lettera? Mi potrà favorire un cenno di riscontro? In Domino. Dev.mo Sac. G.B. Montini”.
Non sempre, però, l’interessamento verso i sacerdoti in difficoltà portava i frutti sperati. È il caso di Don Raffaele Ferrelli cui si riferisce un’altra serie di lettere di Don Montini a Don Orione del novembre 1929. “Veneratissimo D. Orione, mesi fa mi permisi segnalarLe il caso pietoso di un sacerdote apostata da salvare, e nella lettera mettevo un Pro-memoria con i dati precisi. (…) Magari Ella potesse, Deo adiuvante, stender la mano al poveretto!”.
Poi, p
erò, mons. Montini deve concludere: “Se non è possibile far qualcosa per lui, gradirei riavere le note di “Pro-memoria”, che accompagnavano la lettera. Ho passato, nel settembre, qualche giorno con Franco Costa, ed insieme abbiamo parlato di Lei: ci vuole ricordare entrambi nella Sua caritatevole preghiera?”.
Un ultimo rilievo. La corrispondenza autografa di mons. Montini conservata nell’Archivio Don Orione lascia intendere che egli abbia continuato questa tipo di carità nascosta anche nelle successive tappe della sua vita. Ad esempio, è del 23 febbraio 1952 una sua lettera a Don Gaetano Piccinini, amico e angelo custode di Don Brizio Casciola, con la quale gli trasmette un assegno di 16.000 lire destinato all’illustre letterato, in difficoltà di vario tipo, per “N.50 intenzioni di SS. Messe, all’elemosina di L. 320 ciascuna”, “pregandola di far avere il tutto all’interessato”.
Don Gaetano Piccinini, invece, ha testimoniato di avere “ricevuto varie volte, per il tramite di mons. Montini, somme di denaro della bontà del Papa da consegnare a Don Marabotto e da portare in Polonia”. L’orionino Don Biagio Marabotto fungeva da “corriere” di notizie e di aiuti concreti tra Vaticano e la Polonia durante l’occupazione nazista.
Avendo scoperto il tessuto di stima e di collaborazione tra il giovane monsignore del Vaticano e il maturo sacerdote, tuttofare della carità, piace considerare, ancora una volta, come la santità crea simpatia, comunione di intenti e collaborazione indipendentemente dai ruoli, dall’età e dalle specifiche competenze. Don Orione ascoltò con devota serietà il suggerimento di quel giovane e aprì una casa per la redenzione dei sacerdoti. Quel giovane monsignore dal gesto garbato, dalla penna precisa e dall’animo nobile, riconobbe in Don Orione un uomo di Dio, tanto da ricordarlo a 40 anni di distanza: “Lo vidi più di una volta quando venne a trovarmi in Segreteria di Stato, e non avrei mai finito di discorrere con lui perché sentivo proprio in lui un’anima speciale, uno spirito singolare, un santo e speriamo un giorno di poterlo proclamare tale da questa basilica” (Udienza del 31.5.1972).