La pastorale urbana sullo sfondo dell’esperienza del cardinale Bergoglio alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires. È stato questo il punto di partenza del discorso tenuto stamattina da papa Francesco, in occasione dell’udienza concessa ai partecipanti al Congresso Internazionale della Pastorale delle Grandi Città, tenutosi a Barcellona dal 24 al 26 novembre.
Città “popolosa e multiculturale”, Buenos Aires comprende 11 diocesi ed una popolazione di circa 13 milioni di persone, “al tredicesimo posto nel mondo tra le città più densamente popolate”, ha ricordato il Papa.
Un quadro complesso, dunque, che non ha però scoraggiato il futuro pontefice ad affrontare “alcuni aspetti pastorali per l’evangelizzazione di quell’agglomerato urbano” assieme ai vescovi ausiliari.
“Nel riflettere con voi, desidero entrare in questa “corrente” per aprire nuove strade, desidero anche aiutare a vagliare possibili paure, che molte volte tutti in un modo o nell’altro subiamo e che ci confondono e ci paralizzano”, ha detto Francesco ai partecipanti al Congresso.
Con riferimento alla “pastorale urbana”, il Santo Padre ha suggerito quattro aspetti da sviluppare con particolare attenzione, il primo dei quali sollecita un “cambiamento nella nostra mentalità pastorale”, rispetto a un modello in cui la Chiesa era “l’unico referente della cultura”.
In passato, dunque, come “autentica Maestra”, la Chiesa “ha sentito la responsabilità di delineare, e di imporre, non solo le forme culturali, ma anche i valori, e più profondamente di tracciare l’immaginario personale e collettivo, vale a dire le storie, i cardini a cui le persone si appoggiano per trovare i significati ultimi e le risposte alle loro domande vitali”.
I tempi, però, sono cambiati e i cattolici non sono più “gli unici che producono cultura” e nemmeno “i primi, né i più ascoltati”. Emerge quindi la sfida di una pastorale nuova ma non “relativista”, ovvero che lasci l’uomo “affidato a sé stesso ed emancipato dalla mano di Dio”, con il pernicioso nascondimento di Gesù e della “verità sull’uomo stesso”, che porta l’uomo alla “solitudine della morte”.
È necessaria, quindi, una “pastorale evangelizzatrice audace e senza timori” o “vergogna” nell’annuncio di Gesù Cristo.
Il secondo aspetto riguarda il “dialogo con la multiculturalità”, anch’esso da attuare “senza relativismi” e senza negoziare la propria “identità cristiana” ma sempre con l’intento di “raggiungere il cuore dell’altro, degli altri diversi da noi, e lì seminare il Vangelo”.
Andrà quindi assunto un “atteggiamento contemplativo” ai fini di “conoscere gli immaginari e le città invisibili, cioè i gruppi o i territori umani che si identificano nei loro simboli, linguaggi, riti e forme per raccontare la vita”.
Il terzo aspetto riguarda la “religiosità del popolo” che in America Latina, ad esempio, si riscontra soprattutto nelle “maggioranze povere”. Le grandi città, quindi, sono piene di migranti “dalle zone rurali o da latri continenti, con altre culture”: questi ultimi sono “pellegrini della vita, in cerca di “salvezza”, che molte volte hanno la forza di andare avanti e di lottare grazie a un senso ultimo che ricevono da un’esperienza semplice e profonda di fede in Dio”.
Tale fenomeno determina un “potenziale enorme per l’evangelizzazione delle aree urbane”, che pone la “duplice sfida” dell’“essere ospitali verso i poveri e i migranti – la città in genere non lo è – e valorizzare la loro fede”.
Accanto all’aspetto più genuinamente spirituale, se ne affianca uno di tipo socio-economico: nelle città, infatti, “il futuro dei poveri è più povertà” e la Chiesa “non può ignorare il loro grido, né entrare nel gioco dei sistemi ingiusti, meschini e interessati che cercano di renderli invisibili”.
Alla luce di questo complesso scenario, urge una “vera trasformazione ecclesiale” ed un “cambiamento di mentalità: dal ricevere all’uscire, dall’aspettare che vengano all’andare a cercarli”.
Papa Francesco auspica che si vada a “facilitare l’incontro con il Signore”, a “rendere accessibile il sacramento del Battesimo”, che ci siano più “chiese aperte”, “segreterie con orari per le persone che lavorano” e “catechesi adatte nei contenuti e negli orari della città”.
La nuova “Chiesa samaritana” agirà principalmente attraverso la “testimonianza concreta di misericordia e tenerezza che cerca di essere presente nelle periferie esistenziali e povere, agisce direttamente sugli immaginari sociali, generando orientamento e senso per la vita della città”.
A conclusione dell’udienza, papa Francesco ha citato l’esempio del “beato Giovanni Battista Montini, che durante il suo episcopato a Milano curò con zelo appassionato la grande missione cittadina”: l’intercessione di Paolo VI e di molti altri “santi pastori che ci hanno preceduto” potrà quindi aiutare “ad attuare un fruttuoso cambiamento di mentalità, ad aumentare la nostra capacità di dialogare con le diverse culture, a valorizzare la religiosità dei nostri popoli, e a condividere Vangelo e pane con i più poveri delle nostre città”.