“La ferma certezza di essere amati da Dio – ha detto il Santo Padre – è al centro della vostra vocazione: essere per gli altri un segno tangibile della presenza del Regno di Dio, un anticipo delle gioie eterne del cielo”.
Ringraziando per le parole di benvenuto padre Hwang Seok-mo e suor Scholastica Lee Kwang-ok, presidenti delle conferenze coreane dei Superiori maggiori maschili e femminili degli Istituti Religiosi e delle Società di Vita Apostolica, il Pontefice si è detto felice di condividere un momento di comunione con questa grande varietà di carismi e di attività apostoliche che “arricchisce la vita della Chiesa in Corea ed oltre, in modo meraviglioso”.
“Ringrazio voi e tutti i vostri fratelli e sorelle per l’impegno che ponete nell’edificare il Regno di Dio in questa amata Nazione”, ha affermato. E ha subito rimarcato che solo se la testimonianza è gioiosa può attrarre uomini e donne a Cristo.
La gioia, ha sottolineato il Vescovo di Roma, è un dono che nasce e si alimenta con la preghiera, la meditazione della Parola di Dio, e la celebrazione dei Sacramenti e della vita comunitaria. Se queste cose mancano, emergono le debolezze, le ombre.
Per i religiosi e le religiose è dunque una vera e propria sfida testimoniare con gioia la Misericordia di Dio attraverso la povertà, l’obbedienza e la castità.
Soprattutto è fondamentale la vita comunitaria, anche se essa “non è sempre facile”, ha ammesso il Papa. Tuttavia, nonostante le difficoltà, è attraverso una vita condivisa “che siamo chiamati a crescere nella misericordia, nella pazienza e nella perfetta carità”.
“La vostra castità, povertà e obbedienza – ha precisato – diventeranno una testimonianza gioiosa dell’amore di Dio nella misura in cui rimanete saldi sulla roccia della sua misericordia. Questo avviene in modo particolare per quanto riguarda l’obbedienza religiosa”.Parlando di obbedienza, Francesco ha poi ricordato che Cristo, “assumendo la forma di servo, imparò l’obbedienza mediante la sofferenza”. Quindi, “anche se siamo affaticati, possiamo offrire a Dio i nostri cuori appesantiti da peccati e debolezze” perché “nei momenti in cui ci sentiamo più fragili, possiamo incontrare Cristo, che si fece povero affinché noi diventassimo ricchi”.
“Questo nostro bisogno fondamentale di essere perdonati e guariti – ha proseguito il Santo Padre – è in sé stesso una forma di povertà che non dovremmo mai dimenticare, nonostante tutti i progressi che faremo verso la virtù”.
Il Pontefice ha dunque invitato religiosi e religiose a rifuggire da tutte quelle cose che distraggono e causano sconcerto e scandalo negli altri. Ha poi approfondito il significato della povertà che è “muro” e “madre”: “muro” perché protegge la vita consacrata; “madre” perché la aiuta a crescere e la conduce nel giusto cammino”.
Più severe le parole sulla ipocrisia di “uomini e donne consacrati che professano il voto di povertà e tuttavia vivono da ricchi”. Questa, ha avvertito Bergoglio, “ferisce le anime dei fedeli e danneggia la Chiesa”.
Ed è pericolosa pure la tentazione di “adottare una mentalità puramente funzionale e mondana”, ha aggiunto, perché essa induce a riporre la speranza “soltanto nei mezzi umani e distrugge la testimonianza della povertà che Nostro Signore Gesù Cristo ha vissuto e ci ha insegnato”.
Il Papa ha pertanto esortato i presenti a“dimostrare che la vita consacrata è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo”, condividendo e portando Cristo in ogni angolo di questo amato Paese. Infine ha concluso dicendo: “Siate zelanti nell’amore per la Chiesa in Corea e nel desiderio di contribuire, mediante il vostro specifico carisma, alla sua missione di proclamare il Vangelo e di edificare il popolo di Dio nell’unità, nella santità e nell’amore”.
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