"Siamo e rimaniamo figli"

La catechesi di papa Francesco nell’Udienza Generale di mercoledì 18 marzo

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Riportiamo di seguito il testo integrale della catechesi pronunciata questa mattina da papa Francesco durante la consueta Udienza generale del mercoledì, tenutasi a in piazza San Pietro.

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La Famiglia – 8. I Bambini (I)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo aver passato in rassegna le diverse figure della vita familiare – madre, padre, figli, fratelli, nonni –, vorrei concludere questo primo gruppo di catechesi sulla famiglia parlando dei bambini. Lo farò in due momenti: oggi mi soffermerò sul grande dono che sono i bambini per l’umanità – è vero sono un grande dono per l’umanità, ma sono anche i grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere – e prossimamente mi soffermerò su alcune ferite che purtroppo fanno male all’infanzia. Mi vengono in mente i tanti bambini che ho incontrato durante il mio ultimo viaggio in Asia: pieni di vita, di entusiasmo, e, d’altra parte, vedo che nel mondo molti di loro vivono in condizioni non degne… In effetti, da come sono trattati i bambini si può giudicare la società, ma non solo moralmente, anche sociologicamente, se è una società libera o una società schiava di interessi internazionali.

Per prima cosa i bambini ci ricordano che tutti, nei primi anni della vita, siamo stati totalmente dipendenti dalle cure e dalla benevolenza degli altri. E il Figlio di Dio non si è risparmiato questo passaggio. E’ il mistero che contempliamo ogni anno, a Natale. Il Presepe è l’icona che ci comunica questa realtà nel modo più semplice e diretto. Ma è curioso: Dio non ha difficoltà a farsi capire dai bambini, e i bambini non hanno problemi a capire Dio. Non per caso nel Vangelo ci sono alcune parole molto belle e forti di Gesù sui “piccoli”. Questo termine “piccoli” indica tutte le persone che dipendono dall’aiuto degli altri, e in particolare i bambini. Ad esempio Gesù dice: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). E ancora: «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10).

Dunque, i bambini sono in sé stessi una ricchezza per l’umanità e anche per la Chiesa, perché ci richiamano costantemente alla condizione necessaria per entrare nel Regno di Dio: quella di non considerarci autosufficienti, ma bisognosi di aiuto, di amore, di perdono. E tutti, siamo bisognosi di aiuto, d’amore e di perdono!

I bambini ci ricordano un’altra cosa bella; ci ricordano che siamo sempre figli: anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli.  E questo ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto. A volte rischiamo di vivere dimenticandoci di questo, come se fossimo noi i padroni della nostra esistenza, e invece siamo radicalmente dipendenti. In realtà, è motivo di grande gioia sentire che in ogni età della vita, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo e rimaniamo figli. Questo è il principale messaggio che i bambini ci danno, con la loro stessa presenza: soltanto con la presenza ci ricordano che tutti noi ed ognuno di noi siamo figli.

Ma ci sono tanti doni, tante ricchezze che i bambini portano all’umanità. Ne ricordo solo alcuni.

Portano il loro modo di vedere la realtà, con uno sguardo fiducioso e puro. Il bambino ha una spontanea fiducia nel papà e nella mamma; ha una spontanea fiducia in Dio, in Gesù, nella Madonna. Nello stesso tempo, il suo sguardo interiore è puro, non ancora inquinato dalla malizia, dalle doppiezze, dalle “incrostazioni” della vita che induriscono il cuore. Sappiamo che anche i bambini hanno il peccato originale, che hanno i loro egoismi, ma conservano una purezza, e una semplicità interiore. Ma i bambini non sono diplomatici: dicono quello che sentono, dicono quello che vedono, direttamente. E tante volte mettono in difficoltà i genitori, dicendo davanti alle altre persone: “Questo non mi piace perché è brutto”. Ma i bambini dicono quello che vedono, non sono persone doppie, non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti purtroppo abbiamo imparato.

I bambini inoltre – nella loro semplicità interiore – portano con sé la capacità di ricevere e dare tenerezza. Tenerezza è avere un cuore “di carne” e non “di pietra”, come dice la Bibbia (cfr Ez 36,26). La tenerezza è anche poesia: è “sentire” le cose e gli avvenimenti, non trattarli come meri oggetti, solo per usarli, perché servono…

I bambini hanno la capacità di sorridere e di piangere. Alcuni, quando li prendo per abbracciarli, sorridono; altri mi vedono vestito di bianco e credono che io sia il medico e che vengo a fargli il vaccino, e piangono … ma spontaneamente! I bambini sono così: sorridono e piangono, due cose che in noi grandi spesso “si bloccano”, non siamo più capaci… Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio. I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente.  Dipende sempre dal cuore, e spesso il nostro cuore si blocca e perde questa capacità di sorridere, di piangere. E allora i bambini possono insegnarci di nuovo a sorridere e a piangere. Ma, noi stessi,  dobbiamo domandarci: io sorrido spontaneamente, con freschezza, con amore o il mio sorriso è artificiale? Io ancora piango oppure ho perso la capacità di piangere? Due domande molto umane che ci insegnano i bambini.

Per tutti questi motivi Gesù invita i suoi discepoli a “diventare come i bambini”, perché “a chi è come loro appartiene il Regno di Dio” (cfr Mt 18,3; Mc 10,14).

Cari fratelli e sorelle, i bambini portano vita, allegria, speranza, anche guai. Ma, la vita è così. Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società con queste preoccupazioni e questi problemi, che una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini! E quando vediamo che il livello di nascita di una società arriva appena all’uno percento, possiamo dire che questa società è triste, è grigia perché è rimasta senza bambini.

[Saluto finale ai fedeli di lingua italiana:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. Sono lieto di accogliere le Suore Passioniste di San Paolo della Croce, nel secondo centenario della Fondazione, la delegazione della fiaccola benedettina “pro pace et Europa una”, con l’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, Mons. Renato Boccardo e i fedeli di Vercelli accompagnati dall’Arcivescovo Mons. Marco Arnolfo: vi invito ad essere convinti diffusori della misericordia di Dio, supremo garante della giustizia e della pace. Saluto i membri della Polizia di Stato delle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata; i medici dell’Associazione “Sorridi Konou Africa” e gli studenti, in particolare quelli dell’Istituto Comprensivo Ciampoli-Spaventa di Atessa. A tutti auguro che la visita alla Città Eterna diventi un’occasione di riscoperta della fede e di crescita nella carità.

Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Domani celebreremo la Solennità di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale. Cari giovani, guardate a lui come esempio di vita umile e discreta; cari ammalati, portate la croce con l’atteggiamento del silenzio e dell’orazione del padre putativo di Gesù; e voi, cari sposi novelli, costruite la vostra famiglia sullo stesso amore che legò Giuseppe alla Vergine Maria.

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

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ZENIT Staff

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