Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di ZENIT la seguente riflessione sulle letture liturgiche della Domenica delle Palme 2015.
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La grande Settimana1
Rito Romano
Domenica delle Palme- Anno B – 29 marzo 2015
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
La Settimana Autentica
Rito Ambrosiano
Domenica delle Palme nella Passione del Signore
Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11.
1) Le Palme: dal trionfo umano a quello divino.
La Pasqua si avvicina. Inizia la Settimana Santa, che si conclude non con il venerdì di morte né con il sabato del silenzio tombale di Dio, ma sboccia nella domenica di Risurrezione.
Settimana drammatica, che inizia con un trionfo di gente festante, prosegue in una tensione tra odio e amore, e arriva al suo culmine in quella manifestazione di misericordia che è la Pasqua.
La Celebrazione eucaristica di oggi ha due parti.
La prima riguarda le Palme, cioè il trionfo di Gesù che viene solennemente riconosciuto come il Cristo. Il popolo in Gerusalemme accoglie Gesù cantando ed agitando rami di ulivo, foglie di palma, fronde tagliate dai campi.
Gesù entra in modo trionfale nella Città santa. Vi entra per celebrare la Pasqua nuova, che libera l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte mediante l’offerta della Sua vita.
Gesù entra trionfante in Gerusalemme, ma soprattutto entra nella gioia di ogni cuore fedele.
L’assurdo –umanamente parlando – è che, per entrare da Re in Gerusalemme, Lui ha chiesto in prestito un animale da cavalcare, dicendo ai suoi discepoli di andare dal padrone di un’asina, perché “il Signore ne ha bisogno”.
Può il Signore Iddio aver bisogno? Dio è tutto ed ha fatto tutto, come può aver bisogno di qualcosa. Eppure nel Messia2, Dio si fa mendicante del nostro amore per amore. E oggi ha “bisogno” di un asino per entrare “da Re” in Gerusalemme. “Come ebbe bisogno di un’asina e del suo puledro, in ogni momento Gesù ha bisogno di tutto quello che gli posso dare, perché il mio povero cuore si introduca nella Gerusalemme celeste della sua Carità” (don Primo Mazzolari, Domenica delle Palme,1958).
Per comprendere quest’“ora” evangelica che oggi celebriamo, è utile dare una spiegazione sintetica del contesto storico in cui quel momento si innestava. Il popolo di Gerusalemme è in festa perché entra in città Colui che era aspettato da secoli per essere liberatore e guida verso la pienezza di vita. Questo popolo rende oggi omaggio alla Verità dell’Amore, che libera.
Nell’attesa, il popolo ebraico aveva sperimentato vicende senza numero: progressi, cadute, vittorie, eventi politici, profezie. Ma il pensiero costante del popolo eletto, specialmente dopo l’esilio da Gerusalemme, era stato questo punto proiettato nel futuro: l’avvento di Colui che lo avrebbe salvato.
Allora, ed oggi ancora, nell’ingresso solenne di Cristo nella Città Santa questoavvento diventa realtà. E’ importante notare che fu il popolo semplice e i puri di cuore a riconoscerLo. Per primi, infatti furono i ragazzi, i bambini, il cui cuore è puro e semplice, a gridare osanna al Figlio di Davide. Fu il popolino che proclamò la risposta a un interrogativo sempre attuale: “Chi sarà mai questo Gesù di Nazareth, che aveva predicato per tre anni lungo le vie della Galilea e della Giudea?” Nel luminoso giorno delle Palme il semplice popolo ha il grande intuito della realtà: Gesù è il Cristo; è Lui il centro della storia. Lui è l’Atteso da secoli, il vero Re, Colui che dona la felicità.
2) Passione di Cristo, travolto dall’amore per noi.
La seconda parte della celebrazione liturgica di oggi è la Passione di un Uomo-Dio appassionato.
La celebrazione di questa Pasqua è resa “possibile” dall’accettazione della Passione, che San Marco3 ci racconta mettendo in primo piano i fatti e le situazioni, e non le parole.
Man mano che da Betania, dove la Maddalena Gli ha unto i piedi (ritorneremo fra poco su questo episodio) e ci si inoltra nella passione, vediamo Gesù entrare in un silenzio sempre più profondo, fino a tacere del tutto. “Tu lo dici” è l’unica parola che egli risponde alle domande di Pilato. Da allora non dirà più niente, fino alla drammatica invocazione: “Eloì, Eloì, lamà sabactanì (Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato)”?” (Mc 15,34) e al seguente grande grido col quale spirò (Mc 15,36). Si compì così, fino all’estremo limite, l’abbandono di Gesù, che sembrava abbandonato anche dal Padre.
Si può dire che San Marco ci offre due elementi per leggere il modo in cui Gesù vive questo abbandono.
Il primo è la preghiera che Gesù rivolge al Padre sul Getsemani: “Abba, Padre! ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Tuttavia, non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu” (Mc 14,36). Gesù vive questa sofferta adesione alla volontà del Padre, come ripetendo ad ogni momento: “Non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi”. E se all’inizio del suo stare in preghiere sul monte degli ulivi, ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine – dopo la preghiera – ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza: “Alzatevi, andiamo, colui che mi tradisce è vicino”. Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla.
Il secondo elemento è l’invocazione di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché…?”. Come è noto, si tratta dell’inizio di un Salmo4 21 (22), preghiera che esprime l’intensa sofferenza di un giusto perseguitato, ma anche la sua incrollabile fiducia in Dio.
Anche noi, come le donne, siamo invitati a “guardare” (Mc 15,40): contempliamo la sofferenza e la morte del Signore per scoprire in essa l’inattesa rivelazione del Figlio di Dio che rimane tenacemente, ostinatamente fedele alla “follia” dell’amore e che va sulla Croce per ciascuno di noi, per l’umanità intera.
3) Una vita donata, non sprecata.
Anche sulla Croce, Gesù è oltraggiato e pare che sia negata la logica di donazione che ha guidato tutta la sua vita: donazione che qui viene capovolta, incompresa e ritorta contro di Lui: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso”. “Il Messia scenda dalla Croce e crederemo”. Di fronte a Gesù – se guardiamo questa scena dal punto di vista dei presenti – si scorgono due tipi di fede, e Gesù in Croce ne è lo spartiacque.
Da una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e compia miracoli. Mi riferisco ai passanti, agli scribi e ai sacerdoti presenti sul Calvario per vedere come andava a fine.
Dall’altra, la fede di chi, come il centurione, coglie la divinità di Gesù proprio nella Croce: “Vedendolo morire in quel modo disse: costui è veramente Figlio di Dio”. È sulla Croce che si conosce veramente chi è Gesù e in che senso Lui è Messia e Figlio. Possiamo dire che il centurione pagano è un esempio di vero credente.
Ma c’è pure un tipo di fede spinta dall’amore. E’ la fede di una figlia sconosciuta di Israele che ha creduto in Gesù e lo onorò amorosamente e santamente. Il gesto di pietà di questa donna avvenne prima della Festa delle Palme, a Betania, dove troviamo Gesù a casa di Simone il lebbroso, qui, “..mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabas
tro, pieno di olio profumato, di nardo genuino, di gran valore: ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo….”. Questo gesto, uno di quei segni d’amore di cui solo le donne sono capaci, provocò la reazione dei commensali, che lo giudicarono uno spreco.
Se si considera questo gesto dal punto di vista del puro e semplice buon senso umano sicuramente fu uno spreco, un eccesso. Ma con l’immolazione della Croce siamo messi davanti ad un altro eccesso, e questa volta da parte di Dio, che nel Figlio Gesù, compie un gesto d’amore estremo, spezzando il suo corpo e versando, non olio profumato, ma il suo stesso sangue.
Il Maestro ha accolto, gradito l’omaggio di quella donna, e lo ha indicato come gesto profetico: “Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;… Ella ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il Vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che lei ha fatto”. Un’opera buona.
In quell’anonima donna sono riassunte tutte le donne, sono loro l’unico conforto nei giorni della passione, intrepide nell’amore, come la leggendaria Veronica, fedeli nella vicinanza, come la tradizione le presenta lungo il cammino verso il Calvario, forti ai piedi della croce, assieme alla Madre: “…c’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salomè, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme…”.
Una presenza, questa delle donne, che è anche un segno, una vocazione, una missione.
A questa vocazione sono chiamate in modo particolare le vergine consacrate, che donando totalmente la vita a Cristo la mettono a sua disposizione per la Sua appassionata opera di salvezza.
Queste donne sono segno che la grande commozione che invade il cuore, alla lettura della Passione di Gesù, non può restare solamente emozione, ma una mozione di adesione a Cristo. Aderendo a Lui e testimoniandoLo, mostrano che Dio è un “movimento di dono di sé”.
Quando la Vergine Maria ricevette l’annuncio dal Figlio in Croce che sarebbe stata la madre di Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio”, fu commossa almeno quanto lo fu il giorno dell’Annunciazione dell’Angelo. Le lacrime di gioia del primo annuncio e le lacrime di dolore del secondo annuncio non fecero ripiegare su se stessa la Vergine Madre. Rinnovò il suo “fiat”, il suo sì, e la Parola dell’Amore prese di nuovo dimora in lei e condivise la passione di Cristo per il mondo.
Come la Madonna stette sotto la Croce e divenne Madre dell’umanità, le Vergini Consacrate nel mondo stanno sotto la Croce in preghiera, scelgono uno Sposo crocifisso per vivere con Lui il dono di se stesse al mondo. La Verginità è lasciarsi afferrare completamente da Cristo, perché “l’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza nuova, che non delude” (Papa Francesco, Lumen fidei, 53).
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NOTE
1 Con la Domenica delle Palme inizia la Grande Settimana, che i Padri della Chiesa chiamavano al modo ebraico la Settimana delle Settimane che significa la Settimana per eccellenza, il cui punto focale sarà la notte di vegliache vivremo sabato prossimo, quando risuonerà l’ “alleluia pasquale”. Nel rito Ambrosiano questa settima è chiamata Settimana Autentica.
Una settimana in cui facciamo memoria di quella Prima Settimana di oltre due mila anni or sono che ha fatto del tempo un’eternità temporale e dell’eternità un tempo senza fine. Noi riviviamo i giorni della passione, della morte e della risurrezione del Signore Gesù ché si fa maestro e compagno di viaggio per ciascuno di noi.
2 E’ il Messia (= Cristo), annunciato, atteso da secoli, ma cavalca un asinello e non un cavallo da battaglia come lo attendevano i Giudei. Messia mansueto che porta la pace, che illumina con la Sua presenza quanti praticano la giustizia e solleva i poveri dalla miseria. In questo giorno di festa di circa duemila anni fa, gli fu attribuito il nome che è diventato suo: Cristo, che vuoi dire Messia, l’Unto, il Consacrato da Dio; e che è poi il nome nostro, poiché ci chiamiamo cristiani.
3 Quest’anno (2015) si legge il racconto della passione del Signore secondo l’evangelista Marco. Per questo Evangelista sono queste le cose importanti ed eloquenti, sono i fatti e non le parole.
4 “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me» (Sal 21(22), 2-3).