Siamo sconvolti, e se non lo siamo significa che l’adorazione del nostro ego ha raggiunto picchi davvero preoccupanti. Al netto di teorie complottiste che negano sempre la realtà che il potere e i media ci raccontano e spiegano, la tragedia dell’aereo schiantatosi contro una montagna è, comunque, un’ipotesi plausibile. Forse non ci avevamo mai pensato, o non avevamo voluto immaginarlo, ma è possibile che un uomo, di mestiere pilota, decida di farla finita trascinando con sé 149 altre persone. E che, probabilmente, lo abbia voluto fare proprio così, perché, chissà, agli occhi del suo cuore ferito e della sua mente malata nel mondo nessuno era innocente, come invece appaiono a noi le povere vittime dell’incidente. L’aereo come la sintesi del mondo fuori di me, finalmente in pugno; io ai comandi della vita mia e di quella degli altri, in un delirio di onnipotenza nel quale è fin troppo facile rintracciare la prima, originale menzogna: “diventerete come Dio”. Ora comando io, nessuno più a intralciare il mio cammino, a spegnere speranze e progetti.
In quei terribili otto minuti quella piccola comunità ha assistito impotente all’eruzione improvvisa della solitudine che, scoppiando senza possibilità di arginarla, trascina tutti nella morte sotto i lapilli della disperazione. Il comandante lasciato fuori dalla cabina di pilotaggio, l’autorità finalmente incatenata, io al posto di Dio, per un momento, quello decisivo, non più co-pilota ma comandante unico, arbitro del destino mio e degli altri. Gli altri, appunto, i passeggeri e l’equipaggio, a pochi metri, come un’inconsapevole corpo diplomatico scelto in rappresentanza di quel pezzo di mondo che mi ha fatto soffrire gettandomi nella solitudine. E ora vi abbraccio nella stessa morte che mi avete dato.
E’ andata proprio così? Forse non lo sapremo mai, ma sappiamo che così va con noi. Fermi, non scandalizzatevi. Con me almeno è andata così, molte, troppe volte; ingannato nel più profondo di me stesso dal demonio che, immancabilmente, mi ha presentato la mia vita come un colossale fallimento, perché gestita da un Dio che non mi ama. E, ormai certo di essere vittima di un’ingiustizia, ho rubato l’aereo della mia vita e ne ho preso i comandi. Accattivante l’ebrezza dei comandi, ma c’era sotto il trucco beffardo del demonio: guidavo inseguendo la libertà e la felicità, ma perdevo quota, e con me tutti quelli che mi erano accanto, in famiglia e tra gli amici, e la fidanzata, e le persone che mi erano affidate. Sempre più giù, sino a schiantarmi sulla montagna dell’orgoglio che non si scansa mai… Conseguenze? I rapporti stracciati come le povere carni dei passeggeri dell’Airbus. Irriconoscibili i genitori, i fratelli, le persone a cui avrei dovuto annunciare il Vangelo…
E a te? Non è capitato? Certo che sì, forse sta accadendo proprio in questi giorni. Non ti vedi chiuso nella cabina della superbia? Hai appena chiuso fuori Dio a bussare inutilmente alla tua porta. Sei libero, siamo liberi, come quei “giudei” che portavano ancora una volta le pietre per lapidare Gesù. Lui non era Dio, Lui bestemmiava! Chiusi nel proprio orgoglio erano incapaci di riconoscere nelle opere di Gesù la mano di Dio. Per questo lo scambiavano per un bestemmiatore. Come facciamo noi, perché il demonio ci ha convinto che la nostra vita di oggi è una bestemmia: la sofferenza, il fallimento, la debolezza sono parole blasfeme. Dio non può volere e permettere quanto mi accade; e chi afferma e annuncia che proprio nella mia vita è Dio ad operare, che la mia storia è un segno dell'amore del Padre, è un bestemmiatore. Chi mi dice che sono figlio di Dio in questa storia che vivo, merita la morte. E così uccidiamo i profeti, quelli che viaggiano sul nostro aereo, per togliere di mezzo Cristo e qualunque sua memoria, soprattutto quella che appare nel fratello.
Ma Dio, che ci parla attraverso gli eventi della storia, ci annuncia oggi un Vangelo capace di farci ritornare sulla rotta che Lui ha pensato per noi. Cristo è risorto, e ha il potere di passare attraverso la porta che abbiamo blindato per difendere la nostra superbia. Come fece quella sera entrando nel cenacolo, Cristo ci viene oggi a cercare, perché quest’anno sia davvero una Pasqua di libertà.
Per questo il Vangelo dice che, prima della sua Pasqua, Gesù si ritira “al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò”. Perché c'è un "luogo" dove "credere" in Gesù, dove lo si può incontrare e conoscere, quello del suo e del nostro battesimo. E nella notte di Pasqua noi tutti rinnoveremo le promesse battesimali, e sarà il momento in cui potremo finalmente lasciare i comandi a Lui. Andiamo allora anche noi alle rive del Giordano, il punto più basso della superficie terrestre, il luogo dove Gesù si è annientato fin dove abbiamo fatto precipitare il nostro aereo. Qui il Signore si è umiliato sino a discendere al luogo del nostro cuore più lontano dal Cielo e da Dio, per aprirlo all'ascolto dell’annuncio che la Chiesa ci fa attraverso le liturgie di questi giorni santi.
Andiamo e ascoltiamo il Figlio nel quale il Padre si è compiaciuto, perché solo ascoltando potremo uscire dallo scandalo dell'orgoglio incapace di credere all'incarnazione di Dio nella nostra vita. Solo ascoltando crescerà in noi la fede che sposta le montagne dell’orgoglio per vedere, come in un cielo limpido, Dio all’opera nella nostra storia; e discernere la sua misericordia attraverso la luce che filtra, spesso impercettibilmente, dalle ferite dei peccati, delle debolezze, degli errori nostri e dei fratelli.
"La Scrittura non può essere annullata": essa "ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio", ovvero ciascuno di noi raggiunti dalla stoltezza della predicazione, così potente da riportarci in quota, ovvero risuscitare per ritornare ad essere cittadini del Cielo. Sì, in Lui possiamo diventare figli di Dio che viaggiano in questo mondo guardando a ogni evento e a ogni fratello dalla destra del Padre dove Cristo ci vuole far ascendere, già oggi; con le primizie della vita eterna nel cuore e negli occhi per vedere i frammenti del compimento e della gioia anche nel dolore e nelle ingiustizie.
Queste primizie, che si chiamano fede, imploriamo a Dio per i parenti delle vittime, anche per i genitori del copilota, i più affranti e storditi. Che i loro occhi si aprano e scorgano, al di là di quella montagna scura, il Cielo dove crediamo i loro cari sono saliti, abbracciati dalla misericordia del Padre.