La famosissima tela del Cristo Morto, conservata oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano, fu dipinta da Andrea Mantegna, probabilmente per la cappella che aveva intenzione di decorare come sepoltura per sé e i suoi cari nella chiesa di Sant’Andrea a Mantova. In realtà poco sappiamo della destinazione ufficiale di questo dipinto, se non il fatto che alla morte del Mantegna era ancora nella sua bottega e che giunse come eredità al figlio Ludovico.
La critica ha sempre sottolineato la strabiliante abilità tecnica dimostrata dal Mantegna nel costruire uno scorcio prospettico talmente perfetto da divenire proverbiale nell’ambito degli studi storico- artistici, ma forse non ne è stato mai affrontato a sufficienza il significato iconologico, svelandone l’aspetto contemplativo-devozionale.
La tela raffigura il corpo di Cristo morto, deposto dalla croce, semicoperto da un candido lenzuolo e disteso su una lastra di pietra rossa, certamente identificabile nella cosiddetta Pietra dell’Unzione, la preziosissima reliquia venerata a Costantinopoli fino alla conquista dei Turchi Ottomani nel 1453. In questo dipinto i segni della Passione del Redentore sono esibiti allo sguardo del fedele orante e le mani sono dipinte per mettere in risalto i fori dei chiodi in tutto il loro terrificante aspetto, i piedi sono posti rilasciati con una diversa inclinazione, nella fedele ricostruzione della postura sovrapposta e asimmetrica assunta sulla croce. La testa è posta su di un cuscino, atto di pietà offerto dalle Pie donne e dai discepoli rimasti fedeli nel momento della tragedia del Golgota. A destra del cuscino scorgiamo il vaso degli unguenti, portato dalle donne per preparare il corpo e lasciato in fretta vicino al corpo del Signore perché è Parasceve, e di lì a poco bisognerà abbandonare il sepolcro per ritornare poi all’alba della Domenica per finire di pulire e profumare l’Amato e completare il pietoso rito della sepoltura.
Sulla sinistra sono rappresentate tre figure dolenti: le più vicine sono facilmente identificabili con la Madonna, dipinta mentre si deterge le lacrime con un fazzoletto, e con san Giovanni, il discepolo che Gesù amava, il fedele amico che non lo abbandona neanche ai piedi della croce. La terza figura, più nascosta, posta in alto e visibile solo in parte, potrebbe essere il ritratto della Maddalena. Tutta la scena è ambientata in un luogo chiuso, la stanza fredda del sepolcro, rischiarata appena da una debole luce che giunge dalla destra di chi guarda. All’estrema destra della parete di fondo si scorge un’apertura che conduce in una stanza completamente buia, richiamo evidente al buio della morte che il sepolcro porta con sé come simbolo doloroso del mistero della Passione di Cristo.
L’impostazione del dipinto risulta assolutamente originale rispetto a tutta la tradizione iconografica dell’Europa del nord (Vesperbild ), dove Maria è seduta e accoglie sulle gambe il corpo di Cristo morto, ripresa per esempio da Michelangelo nella Pietà Vaticana o nelle innumerevoli pietà dipinte tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, e risulta diversa anche dall’impianto della Imago pietatis (immagine di pietà) caratterizzata dalla presenza eretta di Cristo morto, sostenuto da angeli o dalla Vergine Maria con san Giovanni e a volte da Giuseppe d’Arimatea o anche da Nicodemo. Quest’ultima tipologia di dipinto devozionale aveva generalmente la forma quadrata o a lunetta (semicerchio) dove Cristo e gli altri personaggi venivano rappresentati a mezza figura, ed era utilizzata come parte alta di un polittico (in questo caso prendeva il nome di cimasa) o inserita in un ambiente architettonico, appunto in una lunetta.
Mantegna dipinge una tela di straordinaria capacità emotiva, perché consente al fedele di poter contemplare tutte e cinque le ferite di Cristo contemporaneamente: nessun dipinto, né occidentale né orientale, mostra questo tipo di rappresentazione scorciata, cioè in prospettiva, ma tutti si limitano ad una visione laterale oppure sindonica, cioè dall’alto, del corpo di Cristo come nel caso degli epitafi (tessuti ricamati con scene evangeliche tipiche della tradizione liturgica della chiesa orientale e parte integrante dell’arredo liturgico degli altari).
La Pietra dell’Unzione non compare nei testi evangelici, che però fanno chiaro riferimento all’unzione del corpo di Cristo con aloe e mirra. Tra il 1169 e il 1170, durante il regno di Emanuele Comneno, la reliquia della Pietra dell’Unzione giunge da Efeso (dove la tradizione narra che l’aveva portata Maddalena da Gerusalemme e dove fu venerata per secoli) a Costantinopoli. Di questa traslazione abbiamo delle precise descrizioni nelle fonti greche e in particolare in un testo di Niceta Coniata dedicato alle gesta dell’Imperatore Comneno, dove si legge che la pietra fu portata a spalla dallo stesso imperatore nella chiesa della Vergine di Pharos e che successivamente fu collocata in prossimità della sepoltura dell’imperatore nella chiesa del Pantocrator, dove ancora si può ancora individuare il luogo di collocazione. Molti pellegrini occidentali tra il XIII e il XV secolo ne riportano delle dettagliatissime descrizioni, che corrispondono esattamente alla lastra che Mantegna dipinge nella tela del Cristo morto: la lastra è rossa, coperta di macchie bianche, simili, seconde le descrizioni, a gocce di cera o a gocce d’acqua gelata, che si credevano essere state causate dalle lacrime della Vergine Maria al momento della preparazione alla sepoltura del corpo morto del figlio, secondo l’usanza ebraica. Dopo la conquista di Costantinopoli, moltissime trattative furono intraprese con il figlio di Maometto II, Bajezid II, sia da parte dei veneziani sia da parte dal re di Francia, per riportare la reliquia alla devozione della cristianità, ed anche il cardinal Bessarione se ne fece interprete, organizzando delegazioni diplomatiche, purtroppo infruttuose. In quel momento, molti artisti vennero incaricati di dipingere opere dedicate a questa reliquia per offrirle alla devozione popolare, e sicuramente in questo contesto ci fu anche il personale interessamento di Andrea Mantegna, che volle dipingere il Cristo morto, con un preciso intento devozionale.
Ciò che fu sottratto al culto, con la conquista di Costantinopoli, venne dunque risarcito all’interno della pietà devozionale con un capolavoro artistico: l’artista ancora una volta si pone come testimone diretto degli eventi e accompagna per mano il fedele nel luogo dell’Unzione del corpo del Salvatore, in una ricostruzione puntuale dei fatti e degli oggetti, fedele alla tradizione per permettere al cuore devoto di vedere le ferite di Cristo e le lacrime di Maria, piangendo sui tragici fatti della cronaca contemporanea. I luoghi santi della vita di Gesù, le sante reliquie, i luoghi delle più antiche comunità cristiane sono persi, ma non la devozione e la preghiera; l’arte ha contribuito per mantenerle vive.
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio.
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