Bambini soldato e cristiani perseguitati: "L'Onu faccia la sua parte"

Mons. Auza, osservatore vaticano alle Nazioni Unite, ricorda che quando lo Stato non affronta gravi problemi, la responsabilità passa agli organismi internazionali

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Nuovo appello della Santa Sede per arginare la piaga dei bambini soldato e per tutelare le comunità cristiane del Medio Oriente dalle persecuzioni. Lo ha rivolto al Consiglio di sicurezza dell’Onu mons. Bernardito Auza, nunzio apostolico, osservatore permanente vaticano presso le Nazioni Unite.

“Il crescente uso da parte di gruppi terroristi, e di altri attori non statali, di bambini nei conflitti armati dimostra l’urgente bisogno di un nuovo consenso internazionale per fronteggiare questo crimine e per rinnovare la volontà della Comunità Internazionale di affrontare tale piaga”, scandisce mons. Auza. Il quale rammenta che il 2014 “è stato l’anno peggiore nell’era moderna per l’uso dei bambini come soldati nei conflitti armati”. Solo tra Siria e Iraq ci sono stati 10mila bambini “obbligati e forzati a diventare” soldati.

Il presule invita accoratamente non solo i Governi, ma tutti i leader “sociali, politici e religiosi” a compiere “il primo passo e affermare uniformemente che il reclutamento e l’uso di bambini nei conflitti armati non è solo una grave violazione dei diritti internazionali umanitari e umani, ma è anche un male abominevole che va condannato”.

L’appello di mons. Auza si rivolge dunque all’Onu stessa, chiamata a intervenire laddove i Governi siano incapaci a farlo per impedire il protrarsi di queste violazioni. “Nel caso di attori non statali che reclutano con la forza e usano bambini soldato in tutto il mondo o che commettono brutali violenze contro minoranze religiose ed etniche, quando lo Stato non è disposto o è incapace di affrontare tali atrocità, è responsabilità di questo organismo fornire, una volta esauriti tutti gli altri strumenti e mezzi, gli strumenti militari necessari a proteggere i cittadini da simili aggressori disumani”, spiega l’osservatore vaticano.

Il quale precisa però che l’uso della forza non può essere il solo mezzo. “Piuttosto – spiega – il primo passo consiste in un rinnovato impegno nell’affrontare situazioni umanitarie, sociali, politiche ed economiche che portano ai conflitti in cui vengono usati i bambini soldato”. In tal senso, ha aggiunto mons. Auza, le comunità religiose possono svolgere “un ruolo fondamentale nel servire le comunità comunità colpite, reintegrando gli ex bambini soldato e offrendo uno strumento per il dialogo”.

Altro tema affrontato in questi giorni dall’osservatore della Santa Sede al Palazzo di Vetro, è quello legato ai cristiani perseguitati in Medio Oriente, i quali sono “a rischio di estinzione”, ha detto mons. Auza. “L’ora è grave” – ha affermato il nunzio – la sopravvivenza stessa dei cristiani in Medio Oriente è a rischio dopo 2000 anni”.

I dati confermano le sue gravi previsioni. “Solo 25 anni fa – ricorda mons. Auza – c’erano quasi due milioni di cristiani che vivevano in Iraq” mentre ora sono meno di 500mila. La sensazione dei cristiani mediorientali è “di profondo abbandono” da parte della comunità internazionale.

Di qui l’invito di mons. Auza a intervenire “prima che sia troppo tardi”, ricordando che “l’intera comunità internazionale ha concordato che ogni Stato ha la responsabilità primaria di proteggere la sua popolazione da genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e pulizia etnica”.

Il nunzio ha quindi ribadito quanto detto a proposito dei bambini soldato, ossia che, laddove i singoli Stati non volessero o non fossero in grado di intervenire per sradicare il problema, “la comunità internazionale deve essere pronta ad agire per proteggere le popolazioni in conformità con la Carta delle Nazioni Unite”.

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ZENIT Staff

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