Sono stati i migranti i protagonisti principali della Via Crucis multietnica e multilingue che si è svolta oggi, Domenica delle Palme, a Palermo. Organizzata dall’Ufficio Migrantes dell’arcidiocesi, la Via Crucis, proposta in dieci lingue, è stata un modo per dire basta alle guerre, alle oppressioni e alle nuove schiavitù. Ma anche un’occasione per dimostrare che la pacifica convivenza è possibile. Specie nel capoluogo siciliano, da secoli crocevia di culture e diverse etnie.
I commenti alle 14 stazioni – incentrati sui temi della pace e delle relazioni tra i popoli – sono stati preparati dai rappresentanti delle diverse comunità etniche: ivoriani, ghanesi, tamil, cingalesi, peruviani, ecuadoregni, filippini, ma anche nigeriani, togolesi e via dicendo.
Le stazioni si sono sviluppate dall’Istituto Padre Messina al Foro Italico per culminare nella chiesa Santa Maria dei Miracoli, a piazza Marina. La preghiera è stata focalizzata in particolare sulla pace tra gli uomini, i popoli e le Nazioni. “Meditando l’ultimo tratto della vita terrena di Gesù pregheremo tutti insieme, nativi e migranti, in dieci differenti lingue perché finisca ogni guerra, perché finisca ogni forma di oppressione e riduzione in schiavitù”, annunciava nei giorni scorsi un comunicato dell’Ufficio Migrantes.
“Canteremo ed invocheremo la Vergine Maria – proseguiva la nota – con un solo cuore anche se le lingue ed i canti saranno diversi. La pace è un bene prezioso in mano a tutti gli uomini, ma bisogna avere un po’ di buona volontà per saperla custodire e renderla stabile. Solo riconoscendo la dignità di ogni persona umana si potrà superare ogni tipo di schiavitù e costruire una convivenza fraterna”.
L’iniziativa è stata anche una risposta all’invito di Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace di quest’anno, a costruire una civiltà fondata sulla pari dignità di tutti gli esseri umani, senza alcun tipo di “scarto”.
Soprattutto – come ha dichiarato alla Radio Vaticana padre Sergio Natoli, dell’Ufficio Migrantes di Palermo – voleva essere "una forma di testimonianza pubblica della sequela di Cristo Gesù e di Cristo Crocifisso”. Quindi una iniziativa “interculturale”, espressione “della comunione della Chiesa e della cattolicità della Chiesa”.
Il messaggio di questa Via Crucis, ha aggiunto il religioso, è che “Gesù ha versato il suo sangue per tutti e, a quanti lo accolgono, dà loro la gioia e il potere di essere figli di Dio”. In virtù di questo, “siamo non soltanto una sola famiglia umana, ma un unico Popolo di Dio, un unico Corpo di Cristo, dove non ci deve essere un’omogeneizzazione verso una cultura ma dove le differenti culture esprimono l’unica fede in Cristo Gesù”.