È un appello a tutti i cristiani a non reagire alle violenze dei musulmani quello che lancia dalle pagine di ZENIT mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza Episcopale del Pakistan. A Roma come ospite dei “Dialoghi in Cattedrale” nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il presule ha presieduto ieri, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, la Messa in preparazione alla Pasqua per i parlamentari italiani. Nell’intervista di seguito, mons. Coutts descrive la situazione dei cristiani in Pakistan e parla delle persecuzioni subite, come l’attacco mortale alle chiese di Lahore di due settimane fa. Spiega quindi come questi tragici eventi possono o non possono fare luce sullo stato della libertà religiosa nel paese a maggioranza musulmana. Commenta poi con pacatezza i pericoli della legge sulla blasfemia, che nuoce anche ai musulmani, e racconta come questi ultimi non siano solamente fanatici ma anche fedeli moderati che cercano un dialogo con i cristiani. Di seguito l’intervista.
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Come si realizza la nozione di libertà religiosa in Pakistan?
In generale, secondo la nostra Costituzione, noi abbiamo la libertà religiosa. L’unica restrizione è che i capi di stato, il primo ministro e il presidente, non possono essere “non-musulmani”, perché siamo ufficialmente uno Stato islamico. Tuttavia non abbiamo solo leggi islamiche, come in Arabia Saudita o in Iran. Sulle spalle ci portiamo però il peso del governo dei dittatori militari … Di Muhammad Zia-ul-Haq, ad esempio, che negli 11 anni al potere (1977-1988), ha cercato di islamizzare qualsiasi cosa. Ha introdotto una o due leggi islamiche, una delle quali è la legge sulla blasfemia, che è causa di grande preoccupazione per noi. Molte persone sono state uccise a causa di questa legge, non dalla legge stessa, ma perché essa afferma: “Se qualcuno dissacra il nome del Profeta Maometto, parla contro di lui o per parola o per false dichiarazioni, o in qualsiasi altro modo, la punizione sarà la morte”. Un’altra legge simile dice: “Se si dissacra il Corano, il Libro Sacro, allora si può essere imprigionati per tutta la vita”.
È chiaro che tali normative possono essere facilmente soggette ad abusi. E gli abusi ci sono…. È molto facile ormai accusare falsamente qualcuno. Questo è un pericolo. Perché l’istinto prende il sopravvento, e spesso accade che ‘in virtù della legge’ molte persone, prima che possano dimostrarsi innocenti, sono già state linciate o uccise dalle folle. Stiamo lottando da anni per modificare queste leggi o per garantire un po’ di sicurezza, ma è divenuta una questione così emotiva per i gruppi fanatici che non vogliono assolutamente che si tocchi la legge. Dicono: “No, è per difendere l’onore del nostro Profeta e del Libro Sacro”. Questo ci sta causando tanta sofferenza. Sperimentiamo infatti un sacco di discriminazione, in particolare quando si tratta di posti di lavoro, di promozioni, e così via. Inoltre in una società islamica c’è il concetto – che non è ufficiale secondo il governo, ma nella mente di molti musulmani – che i non-musulmani in un paese musulmano siano in qualche modo ‘inferiori’, diversi dagli altri. C’è una parola araba, ‘dhimmi’, che esprime proprio l’idea di questa ineguaglianza, politica sociale.
Tenendo conto di queste discriminazioni, cosa pensa del ruolo del governo? Cosa fa? Cosa dovrebbe fare o permettere alla sua gente di fare?
Il lato positivo è che siamo liberi di protestare. Lo facciamo molte volte. Ora, abbiamo lavorato molto duramente, in particolare con la Commissione di giustizia e pace della Conferenza Episcopale. Ad esempio, i libri di testo che vengono utilizzati nel programma di governo per le scuole non sono progettati per insegnare alla nuova generazione come vivere insieme con le altre religioni, come rispettare gli altri, anzi contengono molte cose negative. Ma fortunatamente il governo ne ha preso atto e ora stiamo aspettando i nuovi libri di testo da pubblicare. Poi stiamo lavorando insieme alla Commissione per i diritti umani del Pakistan, un ottimo organismo indipendente composto in maggioranza da musulmani. Ci sono, poi, ONG molto buone, ci sono persone molto buone. Una di queste è un avvocato di nome Asma Jahangir, ex presidente della Commissione per i diritti umani, una delle donne più coraggiose che conosca: nonostante le diverse minacce di morte, ha sempre condannato gli abusi della legge sulla blasfemia. Poi c’è un’altra donna, Sherry Rehman, una parlamentare che è stata pure minacciata perché voleva introdurre un disegno di legge in Parlamento per l’abolizione della legge sulla blasfemia. Ha dovuto lasciare il paese ed ora vi è tornata. Il nostro compito è quindi di entrare in contatto con queste brave persone per lavorare insieme come cittadini pakistani, non solo come cristiani, perché queste leggi sono pericolose. Anche per gli stessi musulmani. Non tutti sono fanatici. Questi sono solo un piccolo gruppo. E il Pakistan, da sempre, è stato un paese molto moderato, segnato tuttavia dal pericolo di questi estremisti legati ai talebani e via dicendo.
Potrebbe raccontarci qualche esempio recente di sostegno reciproco tra cristiani e musulmani?
Noi abbiamo il diritto di andare alle nostre Chiese di culto. Domenica scorsa, per la Messa vespertina nella mia cattedrale, c’era un grande gruppo di musulmani che sono venuti per esprimere le loro condoglianze e la loro solidarietà. Hanno unito le mani insieme e si sono fermate di fronte alla Chiesa, come un muro, per dire “siamo qui per proteggervi”, per dire che non siamo d’accordo con questi attacchi terroristici. C’erano studenti universitari e persone della società civile, di buona reputazione, venute ad esprimere la loro solidarietà.
Alla luce degli attentati di Lahore di due domeniche fa, qual è l’attuale stato d’animo dei cristiani in Pakistan?
È stato un grande shock per tutti noi, non ci aspettavamo che accadesse. Tuttavia, come ho detto, la cosa assai incoraggiante è stata l’ondata di simpatia che abbiamo riscontrato in tutto il popolo, anche tra i non cristiani. In particolare a Karachi, dove sono arcivescovo, abbiamo notato questo. Il Consiglio dell’Alta Corte ci ha mandato una bella lettera di condoglianze e di solidarietà. Dove però le cose hanno preso una brutta piega è stato quando i cristiani stessi hanno reagito con violenza, uccidendo brutalmente due giovani che erano stati scambiati per terroristi, bruciandone poi i corpi, e questo ha causato tensione.
Qual è, a suo avviso, il contributo di papa Francesco per i cristiani del Pakistan e dell’Asia?</strong>
Il Papa sta promuovendo molte buone iniziative e, quando lui ha detto che la libertà non è illimitata – e che, in particolare, la libertà di stampa va usata con responsabilità – le reazioni dei cristiani in Asia sono state positive. In Pakistan, il più importante partito politico è il Movimento Muttahida Qaumi Movement [MQM]. Il capo di questo gruppo politico e il suo vice recentemente sono venuti da me e mi hanno detto: “Eccellenza, vorremmo scrivere una lettera per ringraziare il Papa… Come la scriviamo? Come ci rivolgiamo a lui? Come possiamo contattarlo?”. Hanno dunque scritto la lettera ed io, attraverso il nunzio apostolico, l’ho spedita al Santo Padre, per dirgli quanto la sua azione fosse stata apprezzata, perché, per molti non cattolici, lui non è soltanto il capo della Chiesa Cattolica, ma un grande leader spirituale.
Quali parole di conforto vorrebbe rivolgere ai cristiani del Pakistan, in questo momento di difficoltà?
Come presidente della Conferenza Episcopale pakistana, a nome di tutti i vescovi cattolici del nostro paese, ho diffuso un comunicato il giorno dopo l’attentato, appellandomi in particolare ai giovani, perché non si lasciassero sopraffare dall’emozione e non rispondes
sero alla violenza con altra violenza. Nella stessa Karachi, abbiamo avuto difficoltà a rivolgerci alle reali passioni dei giovani, perché erano particolarmente toccati… Non è la prima parte che la nostra Chiesa viene attaccata, pertanto tra la gente c’è molta rabbia.