La voce dell'angelo e il canto di Maria

Da Lorenzo il Magnifico a De André: quando la Vergine ispira i versi dei poeti

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Vergine, cattedrale del Silenzio, / anello d’oro / del tempo e dell’eterno:/ tu porti la nostra carne in paradiso /e Dio nella carne./ Vieni e vai per gli spazi / a noi invalicabili”: parole – eco di monologhi, inni, riflessioni, preghiere, dialoghi e dilemmi quelle di David Maria Turoldo di fronte alla mistero dell’incarnazione di Gesù: quanti miseri e santi, artisti e poeti – perfino “maledetti” – si sono scoperti più umani nel tessere le lodi della donna che più ha segnato la storia, Maria di Nazareth.

Quasi che ogni poeta e contemplatore, ogni cercatore di bellezza non possa resistere allo stupore e al canto nell’incrociare lo sguardo di quella Vergine che proprio del canto è icona, e che della sua vita intera ha fatto un Magnificat: quelle note le erano sgorgate in un momento preciso, come uno strascico della promessa annunciatale da un messaggero assolutamente non comune.

È forse proprio sulla scia del Magnificat che la parola poetica sgorgò anche da penne insospettate, come da quella di Lorenzo il Magnifico, colui che sempre esortava ‘chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza’. Proprio lui, celebratore raffinato dell’effimero, davanti al mistero dell’Annunciazione è spinto a lodare lo splendore di una Vergine: “O bellezza eterna e santa […] mortal ventre; il frutto è vita”.

Quanto è grande la bellezza

di te, Vergin santa e pia!

Ciascun laudi te, Maria;

Ciascun canti in gran dolcezza.

Con la tua bellezza tanta

la bellezza innamorasti.

O bellezza eterna e santa,

di Maria bella infiammasti!

Tu d’amor l’amor legasti,

Vergin santa dolce e pia.

Ciascun laudi te, Maria ;

Ciascun canti in gran dolcezza.

Quell’amor che incende ‘l tutto

la bellezza alta infinita,

del tuo ventre è fatto frutto:

mortal ventre; il frutto è vita:

la bontà perfetta unita

è tuo bene, o Vergin pia.

Ciascun laudi te, Maria ;

Ciascun canti in gran dolcezza.

***

Prima del Magnifico anche Boccaccio aveva scelto di cantare la bellezza che aveva attirato il “Re del Cielo” sulla terra tanto da voler incarnarsi: l’umiltà di Maria:

A MARIA

Non treccia d’oro, non d’occhi vaghezza,

non costume real, non leggiadria,

non giovinetta età, non melodia,

non angelico aspetto, né bellezza

poté tirar dalla sovrana altezza

il Re del Cielo in questa vita ria,

ad incarnare in Te, dolce Maria,

madre di grazia e specchio d’allegrezza:

ma l’umiltà Tua, la qual fu tanta,

che poté romper ogni antico sdegno

tra Dio e noi, e fare il cielo aprire.

Quella ne presta dunque, Madre santa,

sicché possiamo al Tuo beato Regno,

seguendo lei, devoti, ancor salire.

***

È la prima epifania di Gesù il momento della danza di Maria davanti alla cugina Elisabetta: nei seguenti versi poco conosciuti di Alessandro Manzoni (di cui pubblichiamo le prime cinque quartine) è lei la protagonista di questa ‘seconda annunciazione’ fatta questa volta a tutti gli uomini: la gioia di Maria in dolce attesa è incontenibile, in lei lo Spirito Santo canta incurante delle logiche umane. Di fronte all’innocenza di questa fanciulla il poeta le si rivolge con la delicata consapevolezza di chi ha toccato con mano il prodigio: “Ei solo ottenne/ l’alta promessa che da te s’udìa, / Ei che in cor la ti pose”.

IL NOME DI MARIA

Tacita un giorno a non so qual pendice

salia d’un fabbro nazaren la sposa;

salia non vista alla magion felice

d’una pregnante annosa;

E detto: «salve» a lei, che in reverenti

accoglienze onorò l’inaspettata,

Dio lodando, sclamò: Tutte le genti

Mi chiameran beata.

Deh! con che scherno udito avria i lontani

presagi allor l’età superba! Oh tardo

nostro consiglio! oh degl’intenti umani

antiveder bugiardo!

Noi testimoni che alla tua parola

ubbidiente l’avvenir rispose,

noi serbati all’amor, nati alla scola

delle celesti cose,

noi, sappiamo, o Maria, ch’Ei solo attenne

l’alta promessa che da Te s’udìa,

Ei che in cor la ti pose: a noi solenne

è il nome tuo, Maria.

***

Con un rinnovato salto dentro i nostri giorni, come ignorare la delicatezza della stagione della maternità di Maria, che Fabrizio De Andrè intreccia a quella di tutte la madri fino a sfociare in un inno alla maternità e alla vita?

AVE MARIA

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente

che si raccoglie intorno al tuo passare,

siepe di sguardi che non fanno male

nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai

poi la tua mano nasconderà un sorriso:

gioia e dolore hanno il confine incerto

nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,

ave alle donne come te, Maria,

femmine un giorno per un nuovo amore

povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre

nella stagione che stagioni non sente.

***

I versi di Giancarlo Castagna, ultimo componimento che pubblichiamo ci avvicinano ad un passo dalla soglia della piccola casetta di Nazareth, spettatori stupiti di quell’atto d’amore che, due millenni or sono, spezzò le attese quotidiane di ogni uomo: “tutta la terra e il cielo a te inchinati e trepidanti attesero il tuo sì”.

ANNUNCIAZIONE

“Ave, di grazia piena”.

Così Ti disse l’angel Gabriele 

e l’universo intero ammutolì.

Tacquergli uccelli i lor felici canti,

tacquero l’acque e i fiumi, i laghi e i monti.

Gli alberi di stormir cessar le fronde, 

il mare ancor cessò di muover l’onde.

Cessar le stelle il loro empireo moto 

e il sole stesso il raggio suo fermò:

tutta la terra e il cielo a Te inchinati 

e trepidanti attesero il Tuo “sì”.

Allor che profferisti la parola 

che la salvezza agli uomini portò 

un empito di gioia si profuse 

e l’universo intero sussultò.

Maria, con il tuo “sì” Tu ci donasti 

il Salvator: per Te divenne Uomo 

simile a noi, negletti e sparsi 

dietro al peccato che al Bene ci rapì.

Tu sei per noi la pervia porta al Cielo, 

Tu sei per noi la Madre che intercede, 

che su di noi effonde ancor le grazie 

che sol per Te Nostro Signor concede. 

A Te, Divina Madre, l’uomo chiede 

il bene di vedere e il mal fuggire, consiglio e protezione in questa vita,

e in Cielo accolti.Èquesta la mercede

che il nostro cuore attende: meta ambita

che senza Te per noisariaproibita.

A te, Madre benigna, ancor m’appiglio

per vincere il Maligno menzognero,

a Te mi volgo qual devoto figlio:

accogli il canto del mio cuor sincero,

D
onna,

che racchiudesti in Te sì gran Mistero.

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Maria Gabriella Filippi

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