Antonio Monda, neo direttore artistico del Festival (o Festa come probabilmente si chiamerà) del cinema di Roma, ha iniziato (1) l’intervento di presentazione del suo ultimo romanzo “Ota Benga”, ringraziando l’editor Mondadori Gian Arturo Ferrari e lo scrittore Sandro Veronesi per aver colto due punti essenziali dell’opera: in termini tematici, la riflessione sull’esistenza del male (da parte di Ferrari) ed in termini narrativi, lo sguardo umano (da parte di Veronesi).
In relazione allo sguardo, Monda ricorda un saggio sulla fotografia di Roland Barthes, La camera chiara, dove vi è la ricerca del punto, del dettaglio, dell’anima, di ciò che spiega tutto. Se esiste un punto, in questo libro, dice Monda, è lo sguardo che si scambiano Arianna, il personaggio inventato, ed Ota Benga, il personaggio realmente esistito, un pigmeo strappato ai mercanti di schiavi che dopo varie vicissitudini, finisce nello zoo del Bronx di New York, per essere esibito insieme ad uno scimpanzé e ad un orangotango.
Proprio dietro questa esposizione, c’è una motivazione scientifica o pseudoscientifica (ed è questo l’elemento che Monda ha voluto realmente raccontare) e c’è la manifestazione di un razzismo, presente non solo da parte dei bianchi verso i neri, ma anche all’interno della stessa comunità che ne diviene vittima.
Se lo sguardo è quello che cambia l’anima della protagonista (ed in qualche modo l’autore spera cambi un poco anche l’anima di chi legge il libro), il tema vero che l’autore si porta dietro già dal primo libro scritto, Assoluzione, è la presenza inesorabile e inestinguibile del male, pur nel tentativo che fanno tutti di essere buoni, di fare del bene. La constatazione di essere fatti di “fango e di spirito” (Monda è un credente), di essere sempre combattuti tra il bene e il male e che questo fango alla fine rimane sempre, perché si è condannati ad avere il fango.
Il fango, nel libro, è raccontato con dovizia di particolari; c’è anche la presenza di momenti erotici e di violenza (non certo perché l’autore la ami); non solo la violenza su Ota Benga, ma anche la violenza di altri uomini. Tra i tanti casi citati, quello di Madison Grant, ambientalista famoso che amava gli animali, molto rispettato da tutti i governi, repubblicani e democratici, ma che era un razzista, un proto nazista, che con un suo libro ispirò Hitler, circa la folle idea del predominio della razza ariana. Grant è anche l’ideologo dell’abominio della teoria secondo cui Ota Benga fosse da ritenere l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia.
Questa storia, che Monda ha letto da una rivista, lo ha affascinato perché gli ha dato lo spunto per riflettere sul fatto che, in alcuni casi, la scienza, sia pur con buone intenzioni, si pone come assoluto, diventa Dio, idolo; in questo caso, perde di umanità, afflato, compiendo mostruosità, sino a spingere l’autore a ritenere che qualsiasi cosa che diventi assoluto, generi mostruosità (come un governo o una legge). Ed è questa la necessità che ha spinto l’autore a raccontare questa storia.
Naturalmente nel libro c’è molto altro. C’è la storia di una donna greca dall’età indefinita, che nell’America di questi anni (il primo decennio del ventesimo secolo) cerca di emanciparsi, passando dalla retroguardia all’avanguardia, lei, figlia di emigranti, che deciderà di laurearsi all’interno di una famiglia che non comprende il perché della necessità di continuare gli studi, che lavora, vive avventure e amori; il suo motto è una frase del drammaturgo Beckett che è poi, anche un riferimento per Antonio Monda: “Prova di nuovo, sbaglia di nuovo, sbaglia meglio”.
Nel libro vi si trova anche la boxe, il più epico ed essenziale degli sport, che l’autore ama particolarmente in quanto ricorre sempre nei suoi romanzi, che si ritrova anche nella Bibbia, nella lettera di San Paolo ai Corinzi ed anche in grandi romanzieri come Hemingway, Faulkner. In questo romanzo si racconta la storia del primo grande match del secolo, tra il nero Jack Johnson (2) ed il bianco James Jeffries.
Vi è poi la storia di Lothrop Stoddard, allievo di Madison Grant, autore di best seller, che divenne un consulente di Himmler, studiò il “problema ebraico” ed applicò la sua “qualità scientifica” all’eugenetica dando dimostrazione che a volte, avviandosi sul cammino del progresso scientifico poi si può finire sino alla “cloaca della seconda guerra mondiale” (3).
Infine, anche questo romanzo, il terzo (4) di una serie di dieci che cercheranno di raccontare i dieci decenni del secolo scorso, è un atto d’amore verso New York (città che circa venti anni fa ha accolto l’autore), verso la libertà, verso un paese che ha inserito nella Dichiarazione di Indipendenza la parola Felicità, pur con le sue contraddizioni ed i suoi estremi.
*
NOTE
1) Quella di seguito riportata è la sintesi dell’intervento di Antonio Monda, che ha seguito quello di Ferrari e di Veronesi.
2) Durante la presentazione, Monda incorre in un lapsus nominando Jack London in luogo di Jack Johnson, e qui spiega come anche London, pur amatissimo dall’autore, scrisse sul Reno Gazette un articolo, incitando l’uomo bianco a distruggere quello nero per dimostrare la sua superiorità. Qui Monda esprime il suo pensiero contro ogni forma di moralismo, al quale è refrattario (come nel caso specifico su Jack London la cui affermazione, va comunque contestualizzata, essendo figlia di quel tempo).
3) Questa affermazione era stata fatta in precedenza da Sandro Veronesi
4) Il primo è L’America non esiste di cui una riflessione è disponibile sull’edizione di Zenit del 19 ottobre 2014.