Santificare la medicina

Papa Francesco incontra i malati di Napoli nella chiesa che custodisce il corpo del medico santo, Giuseppe Moscati

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Il “Gesù Nuovo” è una chiesa monumentale collocata nel centro storico del capoluogo campano, all’inizio di Spaccanapoli, la celebre stradina che fende un intero quartiere collegando il Monastero di S. Chiara a via Duomo.

Malgrado la bellezza del barocco napoletano, dove si cimentarono i più insigni artisti della città, il tempio può sicuramente essere paragonato all’ospedale da campo di cui parla Papa Francesco nella sua immagine della Chiesa contemporanea.

Il motivo è duplice. Al Gesù Nuovo, grazie ai Gesuiti di Napoli, viene offerto un diuturno servizio di confessioni e SS. Messe per offrire a tanti napoletani, ma anche a visitatori e turisti di passaggio, un qualificato servizio di guarigione spirituale.

Il sapere di trovare costantemente in quella chiesa e in quel quartiere in pieno centro sacerdoti disponibili all’ascolto, all’amministrazione dei sacramenti, alla catechesi, invita chiunque a fruire dei benefici di quest’ospedale da campo dello spirito, di questa tenda dell’incontro con Dio.

Accanto ai malati nello spirito, tuttavia, tanti sono i malati nel corpo che frequentano la chiesa del Gesù Nuovo. Questo a causa della presenza, in una cappella laterale, del corpo di San Giuseppe Moscati (1880-1927) il medico dei poveri.

L’illustre dottore stimato da celebri cattedratici della sua epoca come Antonio Cardarelli e Gaetano Rummo, fece della medicina un suo sacerdozio. Tanti sono i fedeli che da ogni parte d’Italia si affidano oggi alla sua intercessione in cerca di guarigione.

E’ qui che Papa Francesco ha incontrato gli ammalati della città partenopea, coloro che sin dall’inizio del suo pontificato ha indicato, insieme ai poveri, come la “carne di Cristo”.

E’ questa un’espressione emblematica che indica come il popolo e in esso, le sue membra più sofferenti, rappresentino una sorta di teofania nella storia, concetto emerso nella riflessione della Chiesa dell’America Latina dalla quale Papa Bergoglio eredita la sua sensibilità pastorale.

Abbracciare i malati all’interno di quel tempio significa per Papa Francesco ringraziare anche coloro che si adoperano a lenire le loro sofferenze, incoraggiare le loro ricerche, la loro azione e nobilitare l’arte medica in una dirompente cultura che tende a cosificare il malato e con essa la medicina stessa.

Altro elemento importante, a pochi giorni dai vent’anni dell’enciclica Evangelium Vitae è la sfida alla cultura della morte, al suicidio assistito o all’eutanasia, in una visione riduttiva e disperata dell’esperienza umana. La sofferenza va sempre trasfigurata e considerata punto d’arrivo alla conformazione a Cristo.

Papa Francesco, come spesso ha dichiarato, non ha paura della morte, ma del dolore che tuttavia non paralizza la sua serena accettazione della Volontà di Dio in comunione con Colui che al Getsemani chiese al Padre di essere allontanato dal calice amaro.

San Giuseppe Moscati, attraverso le sue ricette mediche finora conservate, ricorda quell’unità essenziale di anima e corpo nell’uomo e di come le due realtà siano interconnesse concorrendo l’una al bene dell’altra o viceversa.

Il “medico santo” prescriveva insieme ai farmaci la Confessione e la Comunione. Ai più poveri lasciava in maniera furtiva, sul comodino a capo di un letto di sofferenza, qualche offerta per comprare pane e medicine.

In un suo pensiero, il Professor Moscati scriveva: «Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo…. Tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, se si dedicheranno al bene».

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Alfonso Maria Bruno

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