Papa Francesco a Pompei: una visita nel mistero della Visitazione

Il riscatto di Napoli e la pace sociale richiedono la “fede operosa” di Maria che realizza la giustizia nelle opere di misericordia

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In una dicotomia di speranze e paure, fede e magia, violenza e poesia, nessuna grande città d’Italia possiede forse la stessa identità ed unità culturale di Napoli.

Malgrado le sue tante contraddizioni pur in una visione esclusiva della vita, interpretata molto spesso con quell’ottimismo che i benpensanti chiamerebbero utopia, esiste un comune denominatore nella tradizione religiosa dei partenopei che è la devozione mariana.

Punto di riferimento della loro pietà popolare è il santuario di Pompei che è anche l’espressione dell’anima e del cuore generoso che da sempre ha contraddistinto lazzari e nobili della “città del sole”.

Non è a caso che l’espressione “vado scalzo a Pompei” rientri fino ad oggi nella retorica napoletana per esprimere, con tale eufemismo, il tributo di riconoscenza per la realizzazione di un voto, di un auspicio da affidare all’intercessione della Madonna lì venerata.

Se papa Francesco inaugura il suo pellegrinaggio petrino nel capoluogo Campano dal santuario di Pompei è per fare della sua visita una “visitazione”.

Pompei, infatti, è anche l’espressione di quella fede viva ed operosa che il “vescovo venuto dalla fine del mondo” sollecita ai fedeli dell’orbe affinché l’evento cristiano s’incarni nel crescendo  dell’esperienza della vita e dia ragione all’azione sull’emozione.

La pietà popolare, così come l’allora cardinale Bergoglio faceva scrivere nel Documento di Aparecida, dev’essere uno spazio d’incontro con Gesù Cristo. Esso vede nell’esperienza della Madre di Dio, la Vergine della Visitazione, la più alta realizzazione.

La storia della “Nuova Pompei” è un paradigma di quella redenzione religiosa e sociale che gli uomini mossi dalla fede produssero affidandosi a Maria.

Il beato Bartolo Longo impressionato dall’idolatria e dal degrado che regnava nella piana di Pompei in un Mezzogiorno d’Italia appena saccheggiato dai Sabaudi, intuì che il recupero morale della gente di quella terra doveva procedere da un riscatto sociale.

In una cultura impregnata di religiosità, occorreva tuttavia anche ed innanzitutto un richiamo spirituale e un motivo trascendente, che Bartolo Longo, nel ricordo della sua conversione personale, trovò nella Madonna e nella devozione al Santo Rosario.

Si fece quindi promotore della costruzione di quello che più tardi sarebbe diventato uno splendido tempio dedicato alla Madonna e si adoperò per la prevenzione e il recupero degli orfani e soprattutto dei figli dei carcerati, dimostrando come le tesi lombrosiane allora in voga, fossero del tutto infondate.

Già dal primo gruppo dei giovani ospiti ci fu infatti chi a sua volta consacrò la propria vita a Dio, nel servizio agli ultimi, attraverso la scoperta e la realizzazione di una vocazione sacerdotale.

Bartolo Longo capì che, senza cultura e senza lavoro, tuttavia, l’assistenza sociale rischiava di diventare quell’assistenzialismo che alimenta il ‘miserabilismo’, cioè l’alibi di una passiva accettazione a vivere sugli aiuti degli altri senza “rimboccarsi le maniche”.

Fu così che Bartolo Longo fondò anche il centro tipografico e la rivista La Nuova Pompei, finalizzata a informare, educare, far pensare e dare da lavorare.

Italiano di sangue, ma culturalmente figlio della terra latinoamericana, papa Bergoglio si fa interprete dell’efficacia del Rosario, preghiera che ripercorre i misteri delle Redenzione.

Nella “Supplica” alla Madonna di Pompei raccomanda una grande città con i suoi problemi ma anche con le sue risorse umane e spirituali.

Pompei diventa allora la chiave di lettura della visita a Napoli da meditare alla luce del mistero della Visitazione di Maria e di quel “misericordiare” tipico del ministero petrino di Bergoglio.

Papa Francesco conferma in questo anche l’insegnamento magisteriale del nesso tra giustizia e pace in un santuario mariano che è riconosciuto anche come centro di quella pace tra gli uomini, tra i popoli, che non può prescindere dal dare a ciascuno il dovuto in un equilibrio di diritti e doveri spesso sperequati dall’assenteismo dello Stato e dai surrogati di controllo del territorio nel quale la malavita organizzata ha il facile sopravvento sulla brava gente.

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Alfonso Maria Bruno

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