Chi è davvero lo Spirito Santo? Egli è Dio? La predica di Quaresima pronunciata oggi da padre Raniero Cantalamessa, cerca di rispondere a questa complessa domanda di natura teologica e dottrinale, che è stata “il punto di maggior attrito e accuse reciproche tra Oriente e Occidente, a causa del famoso Filioque”.
Quella che per alcuni secoli fu una “lacuna”, venne colmata con la definizione di “consustanziale” al Padre e al Figlio.
Vi è poi il dilemma del rapporto tra il Figlio (cristologia) e lo Spirito Santo (pneumatologia), su cui ancora il Concilio di Costantinopoli (381 d.C.) non si esprime.
Chi formulò l’idea che lo Spirito Santo procede “dal Padre e dal Figlio” è stato Sant’Ambrogio, il quale, però, ignora la sottile distinzione che esiste in greco tra “provenire” (ekporeuesthai) e “procedere” (proienai).
L’espressione Filioquesicut) procede dal Padre”, “interamente (totus) dal Padre e interamente dal Figlio”, livellando così le due relazioni di origine.
Con il pontificato di San Giovanni Paolo II, ed in particolare con il vigente Catechismo della Chiesa Cattolica, è iniziato un processo di “riconciliazione”, per il quale “lo stesso Giovanni Paolo II iniziò la pratica di omettere l’aggiunta Filioque “e dal Figlio”, in certe celebrazioni ecumeniche in San Pietro e altrove, in cui si proclamava il credo in latino”, ricorda Cantalamessa.
Da tale rilettura emerge che “lo Spirito Santo, nella storia della salvezza, non è solo inviato dal Figlio, ma anche inviato sul Figlio; il Figlio non è solo colui che dà lo Spirito, ma anche colui che lo riceve”.
“Il momento del passaggio dall’una all’altra fase della storia della salvezza, dal Gesù che riceve lo Spirito al Gesù che invia lo Spirito, è costituito dall’evento della croce”, prosegue il predicatore della Casa Pontificia.
In un documento del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani del 1995, si ricorda che “il ruolo dello Spirito nel più intimo dell’esistenza umana del Figlio di Dio scaturisce da un rapporto trinitario eterno per il quale lo Spirito, nel suo mistero di dono d’amore, caratterizza la relazione tra il Padre fonte dell’amore e il Figlio prediletto”.
Ne è scaturita una lunga riflessione che ha portato a un “modo nuovo di concepire i rapporti trinitari”, con il Verbo e lo Spirito che “procedono simultaneamente dal Padre”. Si rinuncia, così, a “ogni idea di precedenza tra i due, non solo cronologica, ma anche logica”.
“Figlio e Spirito Santo non vanno visti uno dopo l’altro, o uno accanto all’altro, ma uno nell’altro. Generazione e processione non sono ‘due atti separati’, ma due aspetti, o due risultati, di un unico atto”, spiega Cantalamessa.
Quando si parla di Spirito Santo, la parola chiave è “unzione”, concetto ripreso nell’antichità da San Basilio ed Eusebio di Cesarea, e – in tempi molto più recenti – dal teologo ortodosso Olivier Clément. A tal proposito Sant’Ireneo scrisse: “Nel nome ‘Cristo’ si sottintende colui che unse, colui che fu unto e la stessa unzione con cui fu unto. Difatti, il Padre unse e il Figlio fu unto, nello Spirito che è l’unzione”.
L’immagine dell’unzione, quindi, “aggiunge qualcosa di nuovo che non è espresso dall’immagine più usuale della spirazione”. Se infatti si riconosce al Figlio “un ruolo attivo nei confronti dello Spirito, espresso dall’immagine della spirazione, si riconosce anche un ruolo attivo allo Spirito Santo nei confronti del Figlio, espresso con l’immagine dell’unzione”, spiega Cantalamessa.
La predica si è poi soffermata sui concetti di “Spirito di verità” e “Spirito di carità”: il primo si riflette in modo particolare nel Vangelo di Giovanni, il secondo nelle lettere di San Paolo. “Come è avvenuta per la dottrina su Cristo, anche questa diversa accentuazione circa lo Spirito Santo si mantiene nella tradizione, e, ancora una volta, l’Oriente riflette maggiormente la prospettiva giovannea e l’Occidente quella paolina”, ha spiegato Cantalamessa.
Il predicatore della Casa Pontificia conclude con una riflessione sui carismi di Sant’Agostino – profezia, sapienza, discernimento, guarigioni, lingue – dai quali “qualcuno potrebbe sentirsi triste ed escluso, perché pensa che lui non possiede nulla di tutto questo”. Tuttavia San Paolo ci ricorda che la carità è “la via migliore di tutte” (1Cor 12,31) e “moltiplica davvero i carismi”.
“Applicato ai rapporti fra le due Chiese, l’orientale e l’occidentale, questo principio porta a guardare a quello che ognuna di esse ha di diverso dall’altra, non come un errore o una minaccia, ma a rallegrarsene come una ricchezza per tutti”, commenta in proposito Cantalamessa.
Al tempo stesso, “applicato ai nostri rapporti quotidiani, dentro la stessa Chiesa o la comunità in cui viviamo”, tale principio “aiuta a superare i sentimenti naturali di frustrazione, di rivalità e di gelosia”.
La versione integrale della predicazione di padre Cantalamessa è disponibile qui.