“Credo che ciò che diventiamo dipende da quello che i nostri padri ci insegnano in momenti strani, quando in realtà non stanno cercando di insegnarci. Noi siamo formati da questi piccoli frammenti di saggezza”. Per Umberto Eco la saggezza dei padri va oltre le prediche e gli insegnamenti intenzionali; la portata della loro sapienza sta nelle piccole gesti, nei momenti che di per sé sembrerebbero insignificanti ma che in realtà insignificanti non sono, trascende, forse, anche la loro volontà di trasmetterla.
Oggi, 19 marzo, in molti Paesi di tradizione cattolica come il nostro, si festeggia la Festa del Papà; la data è legata alla solennità di San Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo mondiale della paternità. Archetipo di padre e marito devoto, la grandezza di San Giuseppe passa per la sua umiltà e discrezione; Pio IX l’8 dicembre 1870, lo proclamò Patrono della Chiesa Universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna.
Ma di padre non ne esiste solo un modello… E la festa del papà non è la festa del padre perfetto, diligente e devoto, ma è la festa del papà in quanto tale; è tanto la festa di quel padre emblema di sicurezza e protezione per un bambino, quanto la festa del padre in eterno scontro con l’adolescente. Il cinema e la letteratura sono le arti che più di tutte hanno saputo indagare su tale complessa figura, in tutte le sue possibili diversità.
Un film che negli ultimi anni ci è riuscito in modo stupefacente è Re della Terra Selvaggia, diretto da Benh Zeitlin ed uscito nelle sale cinematografiche nel 2012. La pellicola, vincitrice di numerosi premi internazionali come la Caméra d’or al Festival di Cannes, è stata girata con attori non professionisti e con un budget assai limitato.
La storia tratta di Hushpuppy, una bambina di sei anni che vive assieme al padre Wink in una comunità di etnia bayou, nelle paludi nel profondo sud della Louisiana.Wink è un padre severo, burbero e piuttosto rozzo, ma allo stesso tempo affettuoso con la figlia, a cui insegna come sopravvivere nel mondo.
Sullo sfondo dell’avanzare di un terribile uragano, si scopre che Il padre di soffre di una grave malattia, e per questo cerca quindi di preparare la piccola figlia; le insegna a vivere senza di lui. La sua speranza più forte è che Hushuppy non abbandoni la sua terra, il luogo in cui è nata, e che un giorno ne possa divenire la regina, la creatura più forte.
Zeitlin regala al pubblico un’opera prima emozionante, sospesa tra realtà e immaginazione, tra fantasy e documentario. Non si ha mai la sensazione di assistere ad un’opera presuntuosa o sovrabbondante; tutti i suoi elementi coesistono e lasciano percepire le tematiche del film, uniti dalla forza stilistica del regista.
Magnetica è l’interpretazione della piccola Quvenzhané Wallis nel ruolo di Hushuppy; la sua bravura le è valsa la Nomitanion agli Oscar come miglior attrice protagonista a soli 9 anni, entrando nella storia come attrice più giovane ad essere candidata all’ambito premio.
Ma in un film che chiama in causa innumerevoli temi (dallo scontro tra Cultura e Natura al tema della Morte, passando per il mitologico racconto dell’inizio e della fine del mondo), emerge il rapporto padre-figlia, permeando tutto il film.
In un luogo escluso dal mondo, in cui gli abitanti conoscono perfettamente il rischio di finire sommersi dalle acque, l’inno alla vita passa prima di tutto dal padre morente. Nonostante la consapevolezza della malattia, Wink decide di combattere per uno scopo più alto, uno scopo per il quale dimenticarsi le proprie sofferenze: la figlia. Hushuppy è la sua unica ragione di vita, e su questa ragiona fonda i suoi insegnamenti e le sue lezioni di vita.
Wink è un padre incolto, spesso rozzo se non perfino crudele, ma questa sua “crudeltà” è il massimo della protezione che può offrire alla figlia. Nei loro scambi di sguardi testardi, gli occhi di Wink sembrano dire: “Non esser triste angelo mio. Se vedi in me tutta questa cattiveria è solo perché voglio prepararti a vivere da sola in questo mondo violento”. Agli occhi di una società civile, il comportamento del padre potrebbe sembrare assurdo.
La violenza delle sue parole, il suo trattare la figlia di soli sei anni come fosse un maschio, il suo porla in situazioni estreme e pericolose, non sono altro che un tentativo di esorcizzare la possibile paura della perdita che potrebbe vivere Hushuppy, perdita che Wink sa’ essere prossima a concretizzarsi. I suoi non sono atti di egoismo od indifferenza verso la figlia, ma sono il tentativo ultimo di renderla forte e autonoma, in grado di sopravvivere alle crudeltà che il mondo le porrà di fronte e diventare realmente il “re di quella terra selvaggia”, a costo di farle perdere prematuramente la sua innocenza.
Ecco che quindi, nella scena forse più significativa del film, troviamo Wink incitare la figlia a mostrare i muscoli e a batterlo a braccio di ferro. Riuscita nell’impresa, la piccola Hushuppy griderà, galvanizzata dal padre, “IO SONO L’UOMO”; in lei cresce l’autostima e finalmente la comprensione di quello che il padre aveva fatto fino a quel momento. Sullo sfondo di uno scenario che rappresenta oniricamente un mondo post-apocalittico, troviamo dunque un uomo che abbraccia totalmente il suo ruolo di padre, dare la vita per la figlia: “Sono tuo padre e fai quello che ti dico io, perché il mio dovere è quello di non farti morire, ok?”.
Hushuppy, grazie agli insegnamenti del padre, sarà pronta per il suo viaggio; le esperienze vissute e le parole di quell’uomo tanto burbero quanto affettuoso saranno il suo bagaglio con cui poter affrontare la vita, certa che non potrà mai dire: “Mio padre non mi aveva avvisato”.
Con questo film, rivolgiamo allora un augurio a tutti quei padri che ogni giorno donano la vita per i propri figli, lavorando per loro, consentendogli un futuro migliore, proteggendoli dalle brutture del mondo e spesso passando per impopolari e ingiusti: Auguri Papà!