Eroico e temprato, tenero e fonte di sicurezza, a volte incomprensibile e pronto al perdono è il padre che emerge dagli occhi di tanti poeti. Il rapporto quasi sacro tra padre e figlio è il centro del seguente componimento di Camillo Sbarbaro, tratto dalla raccolta Pianissimo (edizione 1914): il legame che affiora è talmente indissolubile da oltrepassare qualsiasi epoca della vita e da durare non solo oltre il tempo, ma anche oltre l’assurdo: “egualmente t’amerei”, sottolinea il poeta a conclusione del suo adunaton in apertura e in chiusura:
Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso, egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella, mia piccola ancora,
per la casa inseguivi minacciando.
(la caparbia avea fatto non so che)
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura, ti mancava il cuore:
chè avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia e, tutta spaventata,
tu vacillante l’attiravi al petto
e con carezze dentro le tue braccia
avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch’era il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t’amerei.
***
L’ipotesi del ritorno del padre perduto viene ripetutamente invocata nella bella poesia di Loredana, che suggerisce con delicatezza la sacralità paterna adombrata dai versi di Sbarbaro.
Qui il gioco anaforico “se un giorno tu mi venissi a cercare / se un giorno io ti venissi a cercare” lascia spazio all’evento che sempre si svolge nella memoria, la possibilità di non dimenticare ‘l’odore’, ‘il suono’, ‘il dolore’: è la natura stessa della relazione ad essere indissolubile e intramontabile:
Se un giorno
Se un giorno
Tu mi venissi a cercare
Dal crudele baratro del silenzio inaccessibile
Io ti accoglierei
E ti ascolterei,
ti avvolgerei come un mare limpido e calmo
come una brezza soave
come un profumo di pane
per non dimenticare più il tuo odore,
il suono della tua voce,
il tuo incompreso dolore.
Se un giorno
Io ti venissi a cercare
Sfidando il baratro del silenzio inaccessibile
Tu saresti ancora la radice che non si spezza
L’ armonia dei rumori quotidiani,
l’ equilibrio dei gesti e dei pensieri,
l’ allegria e la simpatia,
la dolcezza e l’ ironia,
l’ abito della festa che vorresti non finisse mai,
il silenzio più eloquente,
lo sguardo scintillante,
la vigna temprata dal sole..
Come un tatuaggio
Indelebile
Uomo
Come un pensiero
Indimenticabile
Padre.
***
Il richiamo rivolto al padre con insistenza si tinge quasi dei toni della preghiera e della gratitudine nei versi di Marco Pellacani: è la consapevolezza della figliolanza che riesce a restituire in ogni vicissitudine il profumo della libertà quando “tu solo [Padre] / riesci a sorridere dei miei guai! E mi chiedi / ‘Come stai?”; è il contrario di quella condizione che papa Francesco chiama “orfananza”, una vera e propria amputazione di quelle radici familiari e naturali spesso responsabile di tanta solitudine e vuotezza.
Padre
Padre, grande uomo,
che tutto già conosci.
Forte e fiera è la tua mano,
mia sicurezza,
e mio desiderio
per l’uomo che esser vorrei,
quando tu solo,
riesci a sorridere dei miei guai,
e mi chiedi:
“Come stai?”
Padre,
io mi ritrovo
sempre bambino
dinnanzi a te,
fra le tue amorevoli braccia
e mi sento sereno!
Padre,
il tuo sguardo rassicura il
mio cammino,
stammi vicino!
***
Il dramma della perdita di fronte alla quale ci si sente oscillare tra lo strazio del vuoto e l’incomprensibilità della fine, viene inaspettatamente illuminato dallo sguardo sereno del padre stesso, che nei versi di Luciano Somma si considera spettatore di ‘un miracolo’: “il non dover portare sul calvario / la croce d’un’amara solitudine”. E’ questo sguardo che il padre mantiene di fronte alla morte, il suo ultimo lascito e il più prezioso: “l’eredità di vivere”, che permette al figlio di considerare “forse fu un bene padre”.
Forse fu un bene padre
Fermare la tua storia
Col mandorlo fiorito
Chiudere gli occhi
Senza aspettare
Il gelo dell’inverno
Lasciando nei tuoi figli
L’eredità di vivere.
Avevi già provato a masticare
Come un boccone il pane reso duro
Dalle battaglie quotidiane
Stanco.
La sofferenza del tuo immenso vuoto
Noi la sentiamo come un fuoco vivo
Perché è diverso il sangue
Quando sta uscendo dalle tue ferite
Ha un altro suono l’urlo
Quando è parte di te della tua carne
Per te fu cielo terso
Ed al tuo sguardo
Ti sembrò un miracolo
il non dover portare sul calvario
La croce d’un amara solitudine.
Forse fu un bene padre.