Avevo promesso a me stessa che mi sarei completamente disinteressata delle celebrazioni per l’otto marzo, perché secondo me, oggi, qui, in Occidente, per come sono concepite hanno la stessa pregnanza di una danza della pioggia in Irlanda. Sono vecchie, obsolete, ma soprattutto strabiche.
Avete visto la schermata di Google, verosimilmente il sito più cliccato al mondo, per il giorno x? Donne in tutte le salse – astronauti (ma che fantasia, guarda, non lo avrei mai detto), chimici, cuochi, magistrati, atleti, insegnanti e via dicendo, in quattordici versioni diverse – ma neanche una, dico, neanche una su quattordici in versione mamma. Ditemi voi se non c’è qualcosa di perverso, di intenzionale, di mirato.
Lo stesso dicasi per tutte le celebrazioni analoghe in varie sedi istituzionali. Donne imprenditori, donne in politica, tutte a riempirsi la bocca di parole come diritti e differenza, ma qual è la differenza principale se non la maternità, la capacità di generare vita? Hanno presente, gli organizzatori di tutte le manifestazioni, che siamo il paese che fa meno figli al mondo?
Perché continuano a parlare solo, e sottolineo solo, di tutto ciò che può allontanare le donne dalla maternità, esaltandolo come una conquista, e non parlano mai di quello che può incoraggiare le donne a buttarsi nell’avventura di fare figli, se possibile presto, se possibile non uno solo? Perché tra la donna soldato, quella astronauta, quella imprenditore, perché cavolo non è stata invitata una che fa molto la mamma?
Ho un sacco di amiche mamme multiple molto più audaci e toste e coraggiose e apripista di quelle che ci propongono come modello. Invece il tasso di natalità tra le donne che in molte sedi – purtroppo anche in quelle dove non ti aspetteresti – ci vengono presentate come esemplari è da estinzione nel giro di qualche decennio.
Ora, non vorrei essere fraintesa. Non dico che non sia un bello che le donne abbiano la possibilità di fare tutte quelle belle cose, se veramente lo desiderano. Credo che tutte noi siamo molto grate alle donne che hanno combattuto per conquistarci la libertà di scegliere, perché la libertà è la condizione minima necessaria, è il presupposto di qualsiasi altro discorso sulla donna, e sull’uomo come anthropos in generale. Grazie. Però adesso basta.
Ho chiesto alle mie figlie “ma secondo voi una donna può fare tutto? L’astronauta? L’ingegnere?” mi hanno guardata con condiscendenza, forse con compassione pure. Direi come se avessi chiesto “ma secondo voi una mucca può fare il latte?” Io credo che per le future donne, e anche per le attuali giovani donne certi discorsi puzzino di muffa. Le conquiste sono incamerate, andiamo avanti.
Ciò nondimeno, si continuano a fare quei discorsi spingendo sempre sull’acceleratore dell’affermazione femminile, come se questa passasse necessariamente per la negazione della maternità, e io sono certa che sia per un preciso disegno culturale: allontanare le donne dal ruolo materno e, nel caso abbiano figli (succede), invitarle a delegarne l’educazione ad agenzie esterne, non alla famiglia, che non è abbastanza controllabile.
Quali lobby economiche, quali disegni politici ci siano è sinceramente un’analisi superiore alle mie forze, soprattutto alla fine di una giornata come questa, ma più che altro non mi interessa.
Mi sembra invece molto più interessante, in negativo, il fatto che le donne contemporanee siano parecchio inquiete e infelici, e non lo dice qualche Pontificio Consiglio, ma studi e ricerche laicissimi tipo l’American Economic Journal e molti altri citati per esempio da Danielle Crittenden, in Why Happiness Eludes Modern Woman.
A me lo dice la semplice osservazione della realtà. Va bene, siamo libere di fare tutto, siamo anche bravissime a farlo. Possiamo avere una vita sessuale soddisfacente senza essere vittime di condanna sociale, e anche senza il rischio di avere bambini indesiderati, grazie alla rivoluzione sessuale e alla contraccezione. Se i bambini arrivano per sbaglio possiamo liberarcene, e anche se non ne siamo sicure, che un bambino sia arrivato, ma lo sospettiamo solamente, basta una bombetta di ormoni uno o cinque giorni dopo. Possiamo studiare e superare i maschi in tutti i campi. Ci hanno detto di realizzarci, e poi di pensare ai figli. Se non arrivano c’è sempre il piano B, la PMA, e pazienza se costa tantissimo e ha pochissime possibilità di riuscita, e gravi rischi per la salute a breve e a lungo termine.
Ma questo ci ha rese più felici? Non mi sembra, anzi. Io sono circondata di donne sole e alquanto disperate. Donne che non riescono a tenere tutto insieme, e anche se hanno figli e lavori splendidi e gratificanti e ben pagati a un certo punto della loro vita cominciano a chiedersi se vale la pena di correre come matte, e lasciar morire le nonne da sole, o sbattersi come trottole nei tre mesi estivi mendicando ospitalità per i bambini, o ancora perdersi primi passi, prime parole, primi amori dei figli.
Ogni tanto leggo i giornali femminili (un po’ noiosetti per me, tranne le pagine beauty, sono drogata di creme) e mi intenerisco a leggere le storie di donne che si raccontano balle per non ammettere che le loro vite sono terremotate, alluvionate, desertificate, perché non hanno investito abbastanza sulla famiglia, sui figli, e si raccontano che troveranno in se stesse e nel loro progetto – un negozio bio, una galleria di arte, una piccola attività di artigianato – la forza per andare avanti.
Mi si stringe il cuore, perché io sono certa che solo aprirsi alla possibilità di dare la vita o di accoglierla in altri modi se non arriva, solo fare spazio veramente, lasciarsi mangiare da qualcun altro i sogni e i progetti, solo questo rende una donna veramente felice. Di certo non sono le quote rosa a riempire il cuore.