Abeti fratelli

Vivere la fratellanza nelle profondità di Dio per sorreggere ogni prossimo

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A passeggio in montagna attraversai un’abetaia tanto folta da dare  un’ombra molto scura: la chiamavano “bosco nero”. Mi soffermai a contemplare quelle piante dal fusto altissimo e perfettamente dritto.

Abbassando lo sguardo osservai l’intreccio delle radici. Era difficile sapere a quale pianta appartenessero. Erano abbracciate come lunghe dita di tante mani.

L’amico che era con me mi spiegò che l’abete nel folto è tanto alto e slanciato, con un fusto meravigliosamente dritto perché, vivendo all’ombra degli altri che gli stanno a fianco, è obbligato a mandare la cima sempre più in alto per cercare la luce vitale.

Del resto non potendo espandersi ai lati, mortificato da una sorta di rispetto dello spazio altrui, cerca la luce in alto, nello sconfinato, dove c’è posto per tutti. È proprio stando uno accanto all’altro, nel vicendevole rispetto, che ciascuno provoca la crescita e lo sviluppo dell’ altro.

Le radici, alla base, s’intrecciano quasi a formare un’unica maglia, un tessuto base della vita degli alberi, fratelli, perché figli della stessa terra.

Mostrandosi qua e là sembrano dire ai fusti: la nostra unità è la vostra forza, la nostra estensione è la vostra stabilità e la nostra profondità vi lancia verso il cielo. Quel giorno la mia attenzione era di vivere la fratellanza nelle profondità di Dio per sorreggere ogni prossimo.

Ciao da p. Andrea

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Andrea Panont

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