“Un grande avvenimento che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale, come un impegno nel corrispondere al grande dialogo tra Dio e l’uomo”. Paolo VI esprimeva questo auspicio con il popolo di Dio riunito nella parrocchia romana di Ognissanti, in via Appia Nuova. Era il 7 marzo 1965 e il Beato celebrava la prima Messa in italiano, secondo le rinnovate norme liturgiche stabilite dal Concilio Vaticano II.
Cinquant’anni dopo, tre papi dopo, Francesco ritorna in quella parrocchia costruita “grazie allo zelo apostolico di san Luigi Orione”, in una zona che all’epoca veniva definita la “Patagonia romana” per la sua lontananza. Bergoglio celebra quell’“avvenimento” di cui parlava Montini, ma lo fa, non solo rivolgendosi al passato e al cammino compiuto in questo mezzo secolo, bensì guardando al futuro, nella speranza di un rinnovato impegno per “la purificazione della Chiesa, edificio spirituale”.
Spunto per l’omelia del Pontefice non sono infatti sdolcinate memorie storiche, ma la durezza di Cristo nel Vangelo di oggi, che, recandosi a Gerusalemme, trova davanti al tempio gente che fa i propri affari, mercanti di bestiame per i sacrifici, cambiamonete di denaro ‘impuro’. Un commercio tanto “indegno” per un luogo sacro che Gesù rovescia i banchi, butta a terra il denaro, allontana i mercanti dicendo loro: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!».
Ecco: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!».Su questa espressione dovremmo soffermarci a riflettere, osserva Papa Francesco, in quanto essa “non si riferisce soltanto ai traffici che si praticavano nei cortili del tempio”, ma “riguarda piuttosto un certo tipo di religiosità”.
Ovvero quella tendenza del cristiano a dimenticare che il culto liturgico non è solo “una dottrina” o “un rito” da compiere, “ritualistici”. Certo, “è naturalmente anche questo – dice il Papa – ma è essenzialmente esso è “sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede”.
Come affermava infatti la Sacrosanctum Concilium, la liturgia è “la prima e indispensabile fonte alla quale i fedeli possono attingere il vero spirito cristiano”. Che in altre parole significa che bisogna “riaffermare il legame essenziale che unisce la vita del discepolo di Gesù e il culto liturgico”.
Il gesto apparentemente violento di Gesù è, in quest’ottica, un gesto di “pulizia”, di “purificazione”, un richiamo valido per tutte le epoche a tornare “al culto autentico, alla corrispondenza tra liturgia e vita”. Perché la liturgia – aggiunge a braccio Bergoglio – “non è una cosa strana, lontana… Mentre si celebra io penso ad altro, recito il rosario, no! C’è una corrispondenza della liturgia che io porto nella mia vita”. E “su questo si deve fare ancora più cammino”, sottolinea il Santo Padre.
Dunque il discepolo di Cristo – rimarca – è invitato dalla Chiesa “ad avere e promuovere una vita liturgica autentica, affinché vi possa essere sintonia tra ciò che la liturgia celebra e ciò che noi viviamo nella nostra esistenza”. Più semplicemente, “si tratta di esprimere nella vita quanto abbiamo ricevuto mediante la fede”.
Chi si dice cristiano, allora, – ammonisce il Papa – “non va in chiesa solo per osservare un precetto, per sentirsi a posto con un Dio che poi non deve ‘disturbare’ troppo”: “Ah, Signore, io vengo in chiesa ma tu non immischiarti nella mia vita”. Ma va in chiesa “per incontrare il Signore e trovare nella sua grazia, operante nei Sacramenti, la forza di pensare e agire secondo il Vangelo”.
Allora non ci si può illudere “di entrare nella casa del Signore e ‘ricoprire’, con preghiere e pratiche di devozione, comportamenti contrari alle esigenze della giustizia, dell’onestà e della carità verso il prossimo”.
“Non possiamo sostituire con ‘omaggi religiosi’ quello che è dovuto al prossimo, rimandando una vera conversione”, afferma Francesco. “Il culto, le celebrazioni liturgiche sono l’ambito privilegiato per ascoltare la voce del Signore, che guida sulla strada della rettitudine e della perfezione cristiana”.
Si tratta quindi di “compiere un itinerario di conversione e di penitenza, per togliere dalla nostra vita le scorie del peccato, come ha fatto Gesù, pulendo il tempio da meschini interessi”, rileva il Papa, ricordando che la Quaresima è tempo privilegiato per un “rinnovamento interiore” e la “remissione dei peccati”.
È “il tempo in cui siamo chiamati a riscoprire il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, che ci fa passare dalle tenebre del peccato alla luce della grazia e dell’amicizia con Gesù”. Un Sacramento che stravolge la vita cristiana, perché “ci fa crescere nell’unione con Dio, ci fa riacquistare la gioia perduta e sperimentare la consolazione di sentirci personalmente accolti dall’abbraccio misericordioso del Padre”.
Prima di concludere, Francesco ricorda quindi la celebrazione di Paolo VI e augura che “questa circostanza ravvivi in tutti voi l’amore per la casa di Dio. In essa voi trovate un grande aiuto spirituale”. Qui – soggiunge – “potete sperimentare, ogni volta che lo volete, la potenza rigeneratrice della preghiera personale e comunitaria. L’ascolto della Parola di Dio, proclamata nell’assemblea liturgica, vi sostiene nel cammino della vostra vita cristiana. Vi incontrate tra queste mura non come estranei, ma come fratelli, capaci di darsi volentieri la mano, perché accomunati dall’amore per Cristo, fondamento della speranza e dell’impegno di ogni credente”.
Al termine della Messa, il Papa ha salutato i sacerdoti della Parrocchia, affidata fin dalla sua fondazione agli Orionini. Quindi ha incontrato il direttore generale della Piccola Opera della Divina Providenza (san Luigi Orione), don Flavio Peloso, presente con i Consigli Generalizi degli Orionini e delle Figlie della Divina Providenza, la comunità religiosa della Curia e rappresentanti della Famiglia Orionina provenienti da diverse parti d’Italia.
Ha poi voluto dare un personale saluto a tutti i fedeli e giornalisti rimasti fuori nel cortile, complimentandosi per il coraggio di aver resistito al freddo. Davanti ad alcuni sacerdoti ha poi aggiunto: “Ringraziamo il Signore per quello che ha fatto nella sua Chiesa in questi 50 anni di riforma liturgica. È stato proprio un gesto coraggioso della Chiesa avvicinarsi al popolo di Dio, perché possa capire bene quello che fa. E questo è importante per noi: seguire la Messa così. E non si può andare indietro. Dobbiamo andare sempre avanti, sempre avanti. E chi va indietro sbaglia. Andiamo avanti su questa strada!”
Il testo completo dell’omelia è disponibile qui.