L’itinerario spirituale della Via Crucis è stato completato in tempi recenti con l’introduzione della ‘Via Lucis’ che celebra i misteri gloriosi, ovvero i fatti della vita di Cristo tra la sua Risurrezione e la Pentecoste.
Per conoscere origini, pratica e significato spirituale della Via Crucis, ZENIT ha intervistato padre Pietro Messa, preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum.
Quando è nata la pratica della Via Crucis?
La pratica della Via Crucis con le 14 stazioni ebbe origine in Spagna nella prima metà del XVII secolo e fu portata in Italia nella sua forma definitiva dal francescano padre Salvatore da Cagliari. Infatti questo frate, di ritorno dalla Spagna, il 14 settembre 1628 eresse al convento del Monte delle Croci di Firenze la Via Crucis. In questo stesso convento fu mandato Leonardo da Porto Maurizio alla fine del 1709; nella quaresima 1710 il guardiano padre Pio Batallòn da Santa Colomba, spagnolo, incaricò Leonardo di predicare durante lo svolgimento della Via Crucis. Fino a questo momento la predica consisteva solo in una semplice esortazione iniziale per predisporre il popolo a praticare con devozione la Via Crucis, ma presto Leonardo introdusse delle meditazioni per ogni stazione ed iniziò la sua opera di diffusione del pio esercizio, sopratutto nelle chiese francescane.
Perché è nata? Chi l’ha promossa?
La Via Crucis fino ai tempi di Leonardo era un privilegio delle chiese francescane e lui si prodigò per ottenere che questo pio esercizio potesse ergersi dappertutto e divenisse patrimonio di tutta la Chiesa. Il 16 gennaio 1731 ottenne dal papa Clemente XII il breve Exponi nobis che autorizzava l’erezione ovunque della Via Crucis. In tutta la sua vita eresse personalmente 572 Via Crucis, ovvero «Croci, o Immagini, che rappresentano quei Santi Luoghi, dove l’amatissimo Gesù soffrì per amor nostro dolorosissimi tormenti…». La più importante fu l’erezione nel Colosseo benedetta il 27 dicembre del Giubileo del 1750; in quella occasione tenne con grande solennità una predica in cui spiegò il valore della pia pratica. Così il predicatore ne parla in una lettera: «Nel Colisseo, dove i tiranni hanno martirizzato più di quaranta mila martiri, ed era profanato, per restituirgli il decoro che merita, vi si erige una Via Crucis assai decorosa…».
È vero che San Francesco fu uno dei promotori?
Francesco d’Assisi nel suo Testamento afferma: «E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel modo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo». Questo testimonia la sua devozione verso la Croce; considerando ciò è da ricordare che la spiritualità di dell’Assiate è caratterizzata da un “cristocentrismo trinitario”, ossia egli medita la passione di Gesù sempre nella prospettiva delle relazioni trinitarie, come sintetizza in maniera straordinaria negli anni 1380-1385 il pittore Niccolò di Pietro Gerini nella tavola Trinità con i santi Francesco d’Assisi e Maria Maddalena custodita a Firenze presso la Galleria dell’Accademia. Questa affezione a Cristo crocifisso fu recepita dai frati Minori e trovò una manifestazione nella divulgazione della Via Crucis.
Qual è il significato spirituale della via Crucis?
Per Leonardo, la Via Crucis è una scuola di alta perfezione cristiana praticabile da tutti. Essa è «strada regia del paradiso», «missione perpetua», «batteria contro l’inferno». Egli ne sostiene l’efficacia per la salvezza e per ottenere benefici e porta, tra le altre, le testimonianze di Sant’Alberto Magno, San Bonaventura e della venerabile spagnola suor Maria dell’Antigua.
Fine ultimo di questa pia devozione è la conversione: «Che belle metamorfosi si son fatte in sì breve tempo nell’anima vostra! Di nemica di Dio, ora amica; di nero tizzone d’inferno, ora lucidissima stella del Paradiso;… e per così mantenervi, non vi partite d questo santo avello, mirando e rimirando questo sacro e divin corpo, in cui scritto rimirate il non plus ultra del divino amare».
Tramite il pio esercizio della Via Crucis il fedele medita il «grand’eccesso del suo infinito amor… che trascende ogni espressione». Si meditano i dolori esterni di Gesù, ma soprattutto i suoi dolori interni che furono causati dall’amore che portava per tutti noi.
A Gerusalemme la via Crucis è una pratica diffusa per i pellegrini, mentre in alcune parti d’Europa non si fa più in forma pubblica. Qual è la sua opinione al riguardo?
Certamente a Gerusalemme la Via Crucis si compie in modo molto meno raccolto che in tante chiese: c’è chi urla, chi spintona, chi fotografa, con la strada affollata da uomini e donne di religioni e culture diverse. Proprio come ai tempi di Gesù! Sembra strano, ma in ciò c’è più rispetto reciproco che in tanti paesi che si definiscono tolleranti!
Alcuni confessori consigliano la Via Crucis soprattutto durante la quaresima. Lei che ne pensa?
Centrale è la liturgia, ma le pratiche devozionali sono mezzi con cui si è richiamati a fare memoria, ossia a riconoscere la presenza costante di Gesù in mezzo a noi. Tali pratiche sono molteplici a seconda dei periodi storici, culture, sensibilità, eccetera. Sono come dei piccoli fori a cui avvicinando l’occhio si può contemplare il mistero; ma se uno – alla ricerca di molteplici gusti spirituali – volesse vedere oltre, una parete guardando in contemporanea attraverso più fori, non vedrebbe nulla. E questo è il devozionalismo che, come tante deviazioni della fede e spiritualità, è una controtestimonianza. Ecco perché ogni devozione, così come la pietà popolare, ha bisogno di essere in costante relazione con la liturgia.