Una lunga marcia verso la speranza

Padre Rifat Bader spiega il significato dell’opera d’arte realizzata da un profugo iracheno in Giordania e donata ieri a papa Francesco

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Dietro di loro un cielo nuvoloso e una Chiesa con una croce d’oro, con in cima una croce d’oro splendente. Alla loro sinistra, un simbolo dell’antica civiltà da cui discendono e, alla loro destra, le macerie del loro presente. Davanti a loro, la Sacra Famiglia e un angelo, che guida i loro passi verso un futuro sconosciuto.

È il contenuto di un’opera d’arte che raffigura la realtà attuale dei rifugiati iracheni e siriani.

Ieri mattina, il dipinto è stato mostrato a papa Francesco, subito dopo la celebrazione della messa presso la Casa Santa Marta. È significativo che questa potente ed evocativa immagine, sia stata realizzata da un iracheno rifugiato in Giordania.

L’opera è stata illustrata al Pontefice, da padre Rif’at Bader, direttore del Centro Cattolico per gli Studi e i Media di Amman, che ha concelebrato la messa. Padre Bader è giunto a Roma per incontrare i rappresentanti dell’Opera Romana Pellegrinaggi, al fine di organizzare dei pellegrinaggi in Giordania, luogo di numerosi eventi biblici, a partire dal battesimo di Gesù.

A colloquio con ZENIT, padre Bader ha parlato del commovente quadro donato al Santo Padre, del dramma dei profughi, ancora aggrappati alla speranza, nonostante le sofferenze patite, e delle esigenze di coloro che stanno in prima linea nell’assistenza materiale, educativa e spirituale delle persone in fuga dalla violenta persecuzione del cosiddetto “Stato Islamico”.

Lei ha incontrato il Santo Padre in occasione della messa a Santa Marta. Le ha confidato qualcosa che desidera condividere con noi?

Gli ho consegnato la lettera dei cristiani iracheni rifugiati in Giordania, in particolare delle famiglie residenti nella mia parrocchia a Naour, il Sacro Cuore di Gesù, che fa capo al Patriarcato Latino. Da settembre ad oggi, abbiamo accolto cinquanta persone, le quali hanno scritto una lettera a Sua Santità, ringraziandolo delle sue preghiere e dei suoi incoraggiamenti. Gli hanno anche chiesto di pregare per i terroristi, affinché Dio possa aiutarli a riconoscere la dignità umana e a riscoprire l’umanità di se stessi e degli altri. Inoltre, ho dato a Sua Santità, questa immagine, disegnata da un rifugiato iracheno che, per prudenza e paura, vuole mantenere l’anonimato. È proprio la paura ad accomunare i nostri fratelli e sorelle del Medio Oriente: paura del futuro, paura degli altri. Al momento abbiamo circa 8000 rifugiati in Giordania, assistiti in particolare dalla Caritas nazionale, che ha aperto molti centri d’accoglienza per loro. Uno di questi centri ha sede nella mia parrocchia a Naour, dove alloggia questo artista. L’opera che ha realizzato per il Papa rappresenta l’esodo dei Cristiani dall’Iraq, in particolare da Mosul e dalla regione di Ninive e rappresenta quello che si sono lasciati alle spalle. La fede cristiana rappresentata in questo quadro è qualcosa di molto prezioso per il cuore umano, che non si può né vendere, né comprare. Loro erano pronti ad essere uccisi, proprio come i Copti in Libia, erano pronti a lasciarsi tutti i tesori della terra alle spalle, ma di fronte a loro c’era la Sacra Famiglia, che rappresenta la loro fede.

L’immagine in sé è potente ma ciò che la rende ancora più potente è la storia che c’è dietro: i rifugiati iracheni che si aggrappano alla loro fede nonostante tutte le difficoltà. Quando ha raccontato al Papa questa storia, qual è stata la sua reazione?

Dai suoi occhi si è visto quanto ne sia rimasto impressionato. Mi ha preso la mano e mi ha detto: “Grazie. Mantenete viva la  fede, mantenete viva la fede”. Poi l’ho ringraziato a nome del popolo giordano per le sue preghiere e gli ho detto che anche noi preghiamo per lui.

Ci sono diverse foto su abouna.org della sua visita al padre del pilota giordano Lt. Moaz al-Kasasbeh, ucciso dallo Stato islamico. Un mese dopo la sua tragica morte, qual è la sensazione in questo momento in Giordania?
Due giorni fa lo stesso re Abdullah II ha pronunciato un discorso al popolo giordano e al mondo. Ha detto qualcosa di molto caro a noi cristiani. Ha detto che cristiani e musulmani sono un’unica famiglia unita. Che non vediamo l’ora di costruire un nuovo futuro per le generazioni future, che non sarà basato su discorsi di odio ma su discorsi di apertura e buona volontà. Ovviamente, la realtà odierna è una stato di guerra, una guerra contro questi terroristi. Ma siamo consapevoli che questa guerra non è fatta solo di missili e di aerei. È anche una guerra intellettuale e ideologica e, come cristiani, siamo coinvolti. Stiamo cercando di dimostrare come sia possibile guardare alla religione non come un problema ma come una parte della soluzione, condannando la religione usata come pretesto per l’odio, lo scontro e l’omicidio.

Molti dei nostri lettori apprendono quotidianamente notizie dal Medio Oriente, in particolare sulla sofferenza e la persecuzione dei cristiani. Vedono queste immagini e si domandano: “E io che posso fare?”. Lei vive in Giordania, un paese che accoglie rifugiati dall’Iraq e dalla Siria. Cosa può fare la gente per aiutarli?

Penso che vi sia un modo molto diretto per contribuire, che è quello di aiutare i profughi e questo è un caso di emergenza. Abbiamo tantissimi rifugiati che non hanno la possibilità di vivere in casa. Vivono in grandi buche e si trovano in situazioni terribili. Nonostante l’aiuto che la Caritas sta dando, essi non sono in grado di fare nulla di più, senza l’aiuto di altri.
Per mezzo di ZENIT, mi appello alle agenzie umanitarie perché aiutino la Caritas, dove stanno facendo un ottimo lavoro, ma stanno anche soffrendo molto, perché sono soli. Qualche aiuto sta arrivando, ma non è sufficiente. Stiamo lavorando per aprire nuove scuole per i bambini rifugiati, il che è molto importante, e stiamo pensando a come affittare anche alcune case per i rifugiati. Le persone che ora sono a Naour, sono state aiutate dall’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti e ora possono andare a vivere in delle abitazioni in affitto per un anno. Penso che questo possa essere fatto anche da altre ambasciate. Dove sono i paesi europei? Al momento i governi si stanno rifiutando di concedere i visti per queste persone. Mandassero almeno qualche aiuto. Facciano che queste persone vivano dentro le case e non in grandi buche.

Questi sono i bisogni immediati e urgenti in questo momento e tutti possono dare il loro contributo. Ma c’è anche l’altro grande obiettivo: la guerra contro l’estremismo, che è anche la guerra contro l’umanità. L’umanità si trova ad affrontare questi gruppi e queste mentalità. Dobbiamo essere uniti nella solidarietà, per promuovere il dialogo, la cooperazione e i valori della libertà umana e dei diritti.

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Junno Arocho Esteves

Newark, New Jersey, USA Bachelor of Science degree in Diplomacy and International Relations.

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