Giani: "Le onorificenze fanno piacere. Ma non servono per andare in Paradiso"

Il comandante della Gendarmeria Vaticana rivela che non è facile difendere il Papa e che anche alcuni paesi islamici stanno collaborando in questo importante servizio

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La rivista Polizia Moderna ha pubblicato nel numero di marzo una lunga intervista a Domenico Giani, comandante della Gendarmeria Vaticana da 9 anni, da 16 attivo in Vaticano, finora al servizio di tre Papi. Si tratta di una interessantissima disamina dei problemi che deve affrontare chi si occupa della sicurezza di papa Francesco e del Vaticano. 

Nel colloquio viene domandato al capo dei Gendarmi se le minacce dell’Isis contro la Santa Sede siano attendibili. “La minaccia esiste”, risponde Giani, “questo è ciò che emerge dai colloqui che ho con i colleghi italiani e stranieri. Ma una cosa è l’esistenza di una minaccia, altra cosa la pianificazione di un attacco. Al momento posso dire che non siamo a conoscenza di piani di attacco al Vaticano o al Santo Padre”.

A tal proposito viene domandato al comandante se esista una collaborazione con i Paesi islamici: “Sì – afferma – e da numerosi Paesi islamici non mi arrivano solo preziose informazioni, ma anche attestati di stima e ammirazione per il Santo Padre. Posso dire che oggi il Pontefice è visto e rispettato dall’Islam come la più influente autorità morale al mondo. E questo sia da parte di autorità religiose che civili”. 

“Del resto – aggiunge Giani – credo sia evidente il grande rispetto che Francesco dimostra per tutte le fedi e il fatto che il suo Pontificato sia attraversato dal disegno di propiziare la pace tra i popoli attraverso il dialogo interreligioso”. 

Tra le domande anche quella sulle “difficoltà” che la Gendarmeria riscontra in seguito alla decisione di papa Francesco di vivere a Santa Marta. “Il Santo Padre non intende abbandonare lo stile del suo pontificato, fondato sulla prossimità – controbatte il comandante della Gendarmeria – cioè sull’incontro diretto con il maggior numero possibile di persone. Anche da Pontefice – soggiunge – è rimasto il sacerdote che non vuole perdere il contatto con il suo gregge. Siamo dunque noi incaricati della Sua sicurezza che dobbiamo adeguarci a Lui, e non viceversa. Dobbiamo fare di tutto perchè Egli possa continuare a svolgere il suo ministero come vuole, e crede”.

Il testo completo dell’intervista si può leggere qui.

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ZENIT Staff

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