Floribert Bwana Chui (1981-2007) era un giovane della Repubblica Democratica del Congo che sognava un grande cambiamento per il suo paese. Già da bambino diceva al padre: “Vorrei un mondo senza ingiustizia”.

Diventato adulto mise in pratica fino in fondo le sue convinzioni morali e religiose e ne fece le spese. Diventato caposervizio dell’agenzia congolese per il controllo della qualità delle merci in uscita e in entrata dal paese, Bwana Chui è stato assassinato a Goma il 7 luglio 2007.

La sua colpa: essersi rifiutato di far passare un partita di riso avariato. Per corromperlo gli avevano offerto migliaia di dollari ma la sua risposta era stata: “In quanto cristiano non posso permettermelo. Meglio morire che mettere a rischio la vita della gente”.

La prima biografia di Floribert Bwana, dal titolo Il prezzo di due mani pulite (Edizioni Paoline, 2014) è stata realizzata a cura di Francesco De Palma, insegnante di italiano e storia alle superiori a Roma, membro della Comunità Sant’Egidio ed esperto di tematiche legate all’Africa.

Anche Floribert Bwana Chui faceva parte della Comunità di Sant’Egidio, nella quale ricevette formazione attraverso la Scuola della Pace a Goma, sua città natale.

È significativo che la presentazione della sua biografia sia avvenuta nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, che San Giovanni Paolo II consacrò come memoriale dei martiri della fede cristiana nel XX secolo. In San Bartolomeo è peraltro custodita la Bibbia su cui Floribert quotidianamente meditava.

La figura di questo giovane martire, uno dei primi del terzo millennio, è stata analizzata ieri sera da alcune personalità illustri: un politico, due giornalisti, un magistrato, un vescovo. Sono così emerse angolature diverse di una vicenda umana sorprendente e commovente.

In qualità di moderatore dell’incontro, il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha sottolineato che la vicenda di Bwana Chui prende forma sullo sfondo di un paese appena uscito da un conflitto conclusosi nel 2006, sanguinoso (i morti furono tra i 4 e i 5 milioni) al punto di essere definito la “guerra mondiale d’Africa”.

Floribert era uno di quei giovani che rappresentavano l’elite emergente del paese, desiderosa di sviluppo e di riscatto, senza paura di denunciare la corruzione dilagante nella società africana.

Come ricordato dal giornalista di Avvenire e Credere, Gerolamo Fazzini, il tema della corruzione è ricorrente nel magistero di papa Francesco, almeno quanto quello delle “periferie” in cui Floribert Bwana Chui era nato e in cui volle rimanere, nonostante le notevoli opportunità offertegli dai suoi studi e dalla sua formazione.

Fu grazie alla Comunità di Sant’Egidio che il giovane congolese sviluppò una particolare attenzione per i poveri, che non fu affatto astratta né “sociologica” ma si tradusse in un vero e proprio amore nei loro confronti, che nasceva dall’esperienza quotidiana.

Egli fu davvero il rappresentante di una “Chiesa povera per i poveri ma non povera al punto da non poter condividere i suoi doni”, ha commentato Fazzini.

Anche il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, si è soffermato sul rifiuto della corruzione che costò la vita a Floribert Bwana, in un ambiente dominato dalla logica del “così fanno tutti” e dove difficilmente è percepito il confine tra le pratiche lecite e quelle illecite.

In un “mondo spietato”, Floribert seppe “allargare la frontiera dell’umano” e porsi come esempio di “gratuità”, ha aggiunto l’onorevole Giro.

Il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone - già Sostituto Procuratore a Palermo e poi Procuratore Capo a Reggio Calabria – ha sottolineato quanto la vicenda di Floribert Bwana possa insegnare molto anche a noi italiani, che abbiamo combattuto e tuttora combattiamo contro la mafia e la criminalità organizzata, della quale sono stati a loro volta martiri, personalità eroiche e profondamente cristiane come don Giuseppe Puglisi e Rosario Livatino.

Secondo Jean-Leonard Touadì, giornalista ed ex parlamentare di origine congolese, oggi presidente del Consiglio d’Amministrazione dell’IPAB Istituto Sacra Famiglia di Roma, la biografia curata da De Palma “rovescia lo sguardo sull’Africa” e il pregiudizio diffuso secondo cui i problemi del continente nero sarebbero risolvibili solo ad opera di un “deus ex machina” occidentale. Il fulgido esempio di Bwana Chui libera quindi l’Africa dalla “sindrome di Tarzan” e dalla “sindrome di Venerdì”.

Il vescovo ausiliare della diocesi di Roma, monsignor Matteo Zuppi, ha definito Floribert Bwana Chui un “figlio della Comunità” di Sant’Egidio che lo ha aiutato a trovare “il senso della sua vocazione”.

“Uomo grande”, dotato di “sentimenti grandi”, il suo linguaggio è quello evangelico del “sì sì, no no” che ne fa un “martire della corruzione”, ha commentato il presule.

Ringraziando i relatori per la qualità dei loro interventi e la Comunità di Sant’Egidio per averlo portato a conoscenza della vicenda di Floribert Bwana Chui, Francesco De Palma ha raccontato di aver trattato della “storia di una periferia che è divenuta centrale”, grazie all’esempio di un personaggio rivelatosi “un modello e un punto di riferimento”.

Floribert è infatti, ha osservato l’autore, il simbolo del “riscatto di un popolo” quello africano, cui egli stesso “restituisce grandezza”. In quanto martire Bwana Chui rende una testimonianza che va “al di là del tempo e della storia”, ha aggiunto infine De Palma.