La vita, anche quella al confine con la morte, la memoria e la poesia: un trinomio inscindibile, necessario, comune ad ogni epoca umana. Senza passato non vi è speranza di futuro, anche quando rievocare può essere doloroso; consapevolezza che troviamo in Dante all’inizio del suo lungo viaggio, quando esplicita così tutto il travaglio del proprio fare memoria: “Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!”.

Se la poetica del ricordo, sia epico sia intimista, era un tema presente già nella letteratura classica dall’Odissea a Virgilio, Catullo e Properzio, riportare alla memoria è la missione più urgente che rimane come unica via di riscatto e traccia di nobiltà di fronte agli orrori della storia.

Nel romanzo autobiografico Se questo è un uomo, Primo Levi ricorda che tra i prigionieri la motivazione ultima della sopravvivenza era legata proprio alla memoria: bisognava farcela per far rivivere la memoria, poiché solo chi viene ricordato può continuare a vivere nel tempo. Il poeta-sopravvissuto si fa collettore delle invocazioni silenziose di tanti uomini e donne “senza più la forza di ricordare”.

Voce di questa umanità calpestata, egli affida le sue parole ai lettori affinché divengano pietre miliari per le generazioni future: “considerate”, “meditate”, “scolpitele, “ripetetele”, sono gli imperativi che riecheggiano il rivolgersi di Dio al suo popolo eletto: “Ascolta, Israele… Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhie li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte” (Dt 6,4-9).

SE QUESTO È UN UOMO

di Primo Levi

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo,

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi:

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

***

“Scrivo il tuo nome” è il gesto che si ripete per nove volte nel componimento di Paul Eluard, rimanendo appeso per un tempo immortale e ridando vita ad ogni luogo della memoria; ri-cor-dare significa restituire al cuore ciò che gli appartiene e gli è proprio: un passato redento a motivo di una speranza “immemore” e intramontabile, quella della libertà.

LIBERTÀ 

di Paul Eluard

Su i quaderni di scolaro

Su i miei banchi e gli alberi

Su la sabbia su la neve

Scrivo il tuo nome

Su ogni pagina che ho letto

Su ogni pagina che è bianca

Sasso sangue carta o cenere

Scrivo il tuo nome

Su le immagini dorate

Su le armi dei guerrieri

Su la corona dei re

Scrivo il tuo nome

Su la giungla ed il deserto

Su i nidi su le ginestre

Su la eco dell’infanzia

Scrivo il tuo nome

Su i miracoli notturni

Sul pan bianco dei miei giorni

Le stagioni fidanzate 

Scrivo il tuo nome

Sopra i vetri di stupore

Su le labbra attente

Tanto più su del silenzio

Scrivo il tuo nome

Sopra i miei rifugi infranti

Sopra i miei fari crollati

Su le mura del mio tedio

Scrivo il tuo nome

Su l’assenza che non chiede

Su la nuda solitudine

Su i gradini della morte

Scrivo il tuo nome

Sul vigore ritornato

Sul pericolo svanito

Su l’immemore speranza

Scrivo il tuo nome

E in virtù d’una parola

Ricomincio la mia vita

Sono nato per conoscerti

Per chiamarti

Libertà.

***

Anche nei versi della poetessa-premio Nobel Nelly Sachs la scrittura costituisce una via alternativa per ‘disimparare’ la disumanità del mondo: per lei, ammalatasi di mente in seguito ai traumi della guerra e dell’Olocausto, le parole diventano ‘note’ e ‘pietre’ per costruire quel ‘ponte’ che possa essere strada di salvezza da questo a un altro mondo.

TU NELLA NOTTE

di Nelly Sachs

Tu

nella notte

occupata a disimparare il mondo

da lunghissimo tempo

il tuo dito dipinse la grotta di ghiaccio

con la mappa canora di un mare nascosto

che radunava nella conca del tuo orecchio le note,

pietre per il ponte

da questo a un altro mondo,

compito altamente preciso

la cui soluzione

è affidata ai morenti.

***

Se il passaggio verso un ‘altro mondo’ è la soluzione che Nelly Sachs tenta di far intraprendere ‘ai morenti’, nei versi della poesia di Vittorio Sereni, che pubblichiamo successivamente, all’assurdità degli orrori della guerra si cerca di trovare rimedio attraverso il dialogo tra un vivo e un morto, come ultima possibilità di riscatto per i morti e di speranza per i viventi. Al centro vi è l’accorata supplica di un caduto che si apre a testamento universale per l’Europa: “Prega tu se lo puoi, io sono morto / alla guerra e alla pace”.

NON SA PIÙ NULLA, È ALTO SULLE ALI

di Vittorio Sereni

Non sa più nulla, è alto sulle ali

il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna.

Per questo qualcuno stanotte

mi toccava la spalla mormorando

di pregar per l’Europa

mentre la Nuova Armata

si presentava alla costa di Francia.

Ho risposto nel sonno: È il vento,

il vento che fa musiche bizzarre.

Ma se. tu fossi davvero

il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna

prega tu se lo puoi, io sono morto

alla guerra e alla pace.

Questa è la musica ora:

dalle tende che sbattono sui pali.

Non è musica d’angeli, è la mia

sola musica e mi basta.

***

“Il vento che suona musiche bizzarre” ci conduce con un filo diretto a conclusione del nostro percorso, il cui finale è assegnato alla famosa canzone di Francesco Guccini.

“Nel vento”, l’espressione che alla fine di ogni quarto verso riproduce il ritmo delle folate di un’incessante bufera che disperde le ceneri “di tante persone”, ricorda il vento impetuoso che scuote i dannati nel V canto dell’Inferno della Commedia: “di qua, di là, di giù, di su li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena”.  

Il messaggio urgente destinato al mondo è questa volta affidato ad un bambino che, non avendo potuto imparare “a sorridere” chiede “quando sarà / che l’uomo potrà imparare / a vivere senza ammazzare”. Su questa possibilità sembra aprirsi un barlume di speranza, poiché allora “il vento si poserà”.

AUSCHWITZ

di Francesco Guccini

Son morto ch´ero bambino

son morto con altri cento

passato per un camino

e ora sono nel vento

Ad Auschwitz c’era la neve

il fumo saliva lento

nei campi tante persone

che ora sono nel vento

Nei campi tante persone

ma un solo grande silenzi

che strano, non ho imparato

a sorridere qui nel vento.

Io chiedo come può un uomo

uc cidere un suo fratello

eppure siamo a milioni

in polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone

ancora non è contenta

di sangue la bestia umana

e ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà

che l’uomo potrà imparare

a vivere senza ammazzare

e il vento si poserà.

***

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