Gesù cammina sempre dinanzi a noi

Commento al Vangelo della II Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

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Nello sguardo fisso di Giovanni su Gesù che passa è rivelato il cuore della Chiesa: innamorata del suo Sposo, instancabilmente indica al mondo Gesù, l’Agnello di Dio. Non v’è traccia di moralismo, d’impegno, di opzioni preferenziali.

La Chiesa, come Giovanni, non è un’agenzia di collocamento; non è neanche uno stato che cerca giovani volontari decisi ad arruolarsi nell’esercito. A dispetto di ciò che molti credono non propone neppure ideali perché Dio non si è fatto “idea” ma carne; per questo non sbandiera sogni e utopie.

Soprattutto, non chiede nulla. Conosce che cosa attende davvero il cuore di ogni uomo, per questo sa che ogni uomo è, in un modo o nell’altro, un suo discepolo, perché tutti cercano l’amore e il perdono. In ogni uomo vi è infatti, latente, come nei due discepoli di Giovanni, un cuore pronto ad ardere nell’ascoltare il suo annuncio.

Questi erano Ebrei, sapevano che a Pasqua un agnello era sacrificato per i peccati; e che il suo sangue sugli stipiti delle loro case aveva significato salvezza, libertà, vita. Sentirono parlare Giovanni “così” e intuirono che in quell’Uomo che s’avvicinava v’era tutto ciò che il loro cuore desiderava.

Quell’uomo che “si avvicinava” era l’oggetto della santa inquietudine che Dio continuamente sollecita nel cuore dell’uomo. Anche le difficoltà, la crisi economica, gli attentati dei fondamentalisti, un terremoto o una malattia, il tradimento della persona amata, perfino la morte e ogni dolore e angoscia ci destano dal torpore.  

Proprio Gesùera il desiderio d’ogni uomo, d’ogni istante, d’ogni storia. Il nostro desiderio. Tutta la nostra vita è come infilata in un tunnel dove, a momenti, le luci compaiono e sembrano dare un po’ di sollievo, ma è questione di attimi, si ripiomba presto nell’oscurità.

Questa intermittenza ci stordisce e ci intristisce, vaccinandoci da noi stessi e dagli altri; la precarietà figlia della nostra debolezza di povere creature ci inchioda alla paura di morire. E pecchiamo, e sembra non esserci fine.

Come una ragazza che, acciuffata dalla passione e dalla paura di non essere amata, perde la sua verginità con il ragazzino che si illude di amare. E comincia a disprezzarsi profondamente, e per far tacere l’inquietudine, si concede sempre di più, finendo con il perdere la dignità e la speranza di essere amata per quello che è, e non per il suo corpo.

Ma è così per ogni peccato. I giudizi generano altri giudizi, l’avarizia altra avarizia, e così via. Corriamo ansimando dentro questo tunnel e non riusciamo a vederne la fine. Vorremmo scoprire i nostri peccati e quelli degli altri strappati via, resecati alla radice.

Vorremmo che non ci fossero più debolezze. Aneliamo a una vita finalmente tranquilla, speriamo una casa che ci accolga senza dover tribolare tra un imprevisto e uno sbalzo d’umore.

La Chiesa conosce il cuore dell’uomo perché Dio si è fatto uomo, per questo non è un club esclusivo di impeccabili. Comprende le ansie, i desideri, le sofferenze, perché il suo sguardo non si scosta un secondo da Cristo: lo celebra, lo prega, lo ama e lo annuncia.

Come Giovanni è trafitta dallo Spirito che le attesta sin nelle più remote profondità che proprio Gesù è il Signore, l’Agnello di Dio che ha portato e tolto il peccato del mondo. E ce lo mostra oggi, ora mentre ci viene incontro di nuovo con la sua Parola e la liturgia, nei pastori e nei fratelli.

Nel tunnel che stiamo percorrendo, Gesù accende il nostro cammino con la luce del suo volto. E ci attira dentro il mistero dell’annuncio. Perché senza l’annuncio di Giovanni la Chiesa smette di essere se stessa. Esiste per dire a tutti che esiste il perdono dei peccati.

Gesù, infatti, cammina sempre dinanzi a noi. Ma abbiamo bisogno di ascoltare la Chiesa che ce lo annunci, spingendoci a metterci in cammino per seguirlo.

Non c’è conversione senza l’ascolto e l’uscire da se stessi. Perché Gesù si ferma e si volta solo per rispondere alla nostra libertà. Il suo amore ci rispetta e attende i nostri passi dietro i suoi. Aspetta che il nostro desiderio lo talloni.

Solo incontrando il nostro sguardo mendicante può chiederci: “Che cercate?”. Una casa cerchiamo Signore, un riposo, essere felici nonostante noi stessi. Cerchiamo consistenza per la nostra vita, qualcosa, Qualcuno, che segni il nostro cammino tra le troppe intermittenze che scuotono i nostri giorni.

“Maestro dove abiti?”, dov’è che dimora il perdono, dov’è che possiamo immergerci nella misericordia? La tua casa Signore, la tua famiglia, il tuo luogo, questo cerchiamo. Seguirti per stare con te, dove tu sei.

E questo significa scoprire che Gesù ci è più familiare di nostra madre, che è, da sempre, carne della nostra carne, vita della nostra vita. Perché è l’amore che non ci giudica, e cancella il peccato del mondo che è in noi.

“Erano le quattro del pomeriggio” hanno registrato con cura i due discepoli, perché da quell’istante per loro, come per chiunque dopo averlo seguito è entrato nella sua casa, nulla è stato più lo stesso; ogni ora è diventata storia di salvezza e di pace.

Coraggio, perché come un Agnellino il Signore desidera le nostre storie per farne la sua dimora. Anche se i nostri peccati fossero grandissimi, anche se sino ad oggi sei stato schiavo del sesso, del denaro, del gioco, la Chiesa ci annuncia che Gesù è venuto per liberarti e cambiare il tuo cuore.

Mettiamoci in cammino seriamente, per sperimentare la misericordia di Dio che ci accoglie nella sua famiglia, nella comunione del Paradiso che abbiamo perduto. Perché il mondo attende la nostra conversione! Tuo fratello, tua nipote, il tuo collega, aspettano che, Come Giovanni e Andrea, tu possa annunciare che hai “trovato il Messia”.

Lui ha il potere di fare nuova ogni cosa, e il mondo ha bisogno di vederlo nei cristiani. Il matrimonio che fa acqua? Sarà una creazione nuova, come il nome nuovo dato a Pietro. Gesù può fare della pietra che indurisce il nostro cuore una roccia dove ancorare la fede e la speranza per amare chi ci è accanto.  

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Antonello Iapicca

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