Su queste tematiche il Pontificio Consiglio degli operatori sanitari ha organizzato in Vaticano un convegno internazionale dal titolo: La Persona con disturbi dello spettro autistico: animare la Speranza.
Per capire di che cosa si tratta, ZENIT ha intervistato il dott. Davide Moscone, giovane psicologo che da anni si occupa in maniera specifica della sindrome di Asperger. Moscone è attualmente presidente dell’associazione “Spazio Asperger”.
Che cosa significa essere “asperger”?
La Sindrome di Asperger è un’etichetta diagnostica che il DSM-IV ha introdotto per definire tutte quelle persone dotate di linguaggio formalmente corretto che, in assenza di ritardo cognitivo, presentano alcune caratteristiche dell’autismo. Le persone che si situano in questo punto del continuum autistico, presentano un insieme di peculiarità comportamentali che riguardano principalmente l’area sociale, sensoriale percettiva, attentiva e affettivo-motivazionale. Di fatto nella prassi clinica si raggruppano, sotto questa definizione, un’ampia gamma di condizioni e di stili di funzionamento cognitivo, affettivo e sociale. Quindi non esistono due persone asperger uguali e le loro abilità possono spaziare dall’eccellenza in alcuni settori, come le arti grafiche, la musica o le scienze, con risultati a volte straordinari, a situazioni più deficitarie dove possono essere presenti difficoltà nella gestione autonoma di semplici attività di vita quotidiana. Si tratta di una condizione di variazione neurobiologica, che si manifesta in un determinato fenotipo comportamentale, con conseguenze in ambito sociale, affettivo e lavorativo.
Essere Asperger quindi significa percepire, provare, pensare ed agire in modo diverso dalle persone tipiche. Le persone Asperger presentano differenze significative nel modo in cui percepiscono il mondo, nella regolazione delle loro emozioni, negli interessi, nella motivazione, nella socializzazione e nel comportamento. Molte persone Asperger hanno un’intelligenza normale o superiore alla media e spesso hanno interessi specifici che possono trasformare in idee, passioni e anche lavori di successo. Al contempo mostrano difficoltà nel comprendere gli altri, i messaggi impliciti scambiati tra le persone e nel costruire e mantenere delle relazioni significative. Sono spesso ipersensibili da un punto di vista sensoriale e molti ambienti in cui potrebbero sentirsi parte della comunità diventano per loro devastanti perché troppo confusionari e chiassosi. Cosa significa quindi essere Asperger? Significa spesso sentirsi alieni al mondo sociale, fuori sincronia e questo spesso porta effetti duraturi nell’età adulta a causa dell’accumularsi di frustrazioni ed incomprensioni.
Che relazione c’è con l’autismo?
La Sindrome di Asperger è parte dello Spettro Autistico e rappresenta il grado più lieve. La comunità scientifica non ha facilità nel definire i limiti di una condizione o dell’altra in modo netto e per questo oggi si preferisce usare semplicemente il termine “Spettro Autistico”. Clinicamente però, anche se esistono persone che hanno condizioni in qualche modo “intermedie”, spesso una distinzione si riesce a fare. Nella Sindrome di Asperger non è presente ritardo mentale e, arrivati all’età scolare, il linguaggio è formalmente presente e corretto, anche se sono presenti difficoltà nell’utilizzo sociale della comunicazione non verbale. Le differenze tra le due condizioni non sono solo o sempre di tipo quantitativo, ma anche qualitativo, ossia le difficoltà che sperimentano le persone con Sindrome di Asperger sono spesso relative ad abilità avanzate (ad esempio: la comprensione delle intenzioni e delle motivazioni degli altri, gestione dei conflitti, comprensione di emozioni socialmente complesse come l’invidia, ecc.) tali che spesso la società li etichetta semplicemente come maleducati, antipatici, viziati o egoisti. Tali difficoltà non sono immediatamente evidenti come nell’autismo ma comportano ugualmente problemi significativi nell’adattamento sociale e spesso, proprio perché sottili, una sofferenza più consapevole.
Che incidenza hanno l’asperger e l’autismo a livello italiano? E a livello mondiale?
Le persone nello Spettro Autistico sono, secondo le stime più recenti circa l’1% a livello mondiale. Stime più alte vengono da studi non solo sulle persone che accedono ai servizi ma da studi epidemiologici su tutta la popolazione svolti negli USA, Gran Bretagna e Corea, e che danno una stima intorno al 2%. In Italia purtroppo non abbiamo un sistema di vigilanza epidemiologica delle condizioni dello Spettro Autistico su base nazionale e non abbiamo l’usanza di effettuare screening negli asili o nelle scuole. Al momento poche regioni italiane hanno avviato dei progetti di monitoraggio (unicamente per persone che accedono ai servizi pubblici) stimando una prevalenza del 4-5 per mille. Non abbiamo nessun motivo per pensare che l’autismo sia più diffuso all’estero rispetto all’Italia, quindi possiamo facilmente pensare che nel nostro paese ci sia un reale problema di riconoscimento e presa in carico di queste persone.
Dal 20-al 22 novembre, il Pontificio Consiglio degli operatori sanitari ha organizzato in Vaticano un convegno internazionale sul tema generale: “La Persona con disturbi dello spettro autistico: animare la Speranza”. Qual è il suo parere in proposito?
Sono entusiasta dell’iniziativa portata avanti dal Pontificio Consiglio con relatori di primo livello. Riguardo al tema posso dire che oggi, rispetto a 20 anni fa, abbiamo delle basi di evidenza scientifica su cui costruire e sappiamo che sono possibili netti miglioramenti. La speranza è quindi lecita e non è più giustificabile il comportamento, ancora molto diffuso tra i professionisti, di consigliare alle famiglie “fresche” di diagnosi di rassegnarsi. Le ricerche più recenti sulla prognosi di bambini diagnosticati precocemente, una volta arrivati all’età adulta, ci dicono che meno del 10% dei bambini diagnosticati con autismo ha un livello di autonomia così basso da necessitare l’inserimento in una comunità residenziale, mentre almeno il 15% raggiunge un funzionamento normale secondo gli standard condivisi dalla società (lavoro, amicizie, vita autonoma, ecc.).Tuttavia è importante che la speranza si trasformi in azione, azione nell’iniziare subito percorsi terapeutici e azione di trasformazione e sensibilizzazione sociale e culturale.
Cosa si sentirebbe di consigliare o approfondire? E quali sono le soluzioni di cura che lei pratica?
L’autismo è un fenomeno complesso e necessita di essere affrontato nella sua complessità, nella ricerca, negli aspetti economico-legali, terapeutici e sociali. Per quanto riguarda la ricerca mi piacerebbe che si approfondisse di più la comprensione della diversità (genetica, biologica, neurologica, comportamentale) presente all’interno dello Spettro Autistico, in modo da individuare dei sottogruppi significativi che permettano di adattare flessibilmente la pratica clinica alle reali esigenze di queste persone. Da un punto di vista economico e legislativo sappiamo che gli interventi efficaci necessitano di preparazione dei terapeuti, strutture e tempo dedicato alla persona, questo significa che quanto viene offerto oggi è spesso insufficiente ed andrebbero dedicati ulteriori fondi in quanto, pur essendo spesso costoso un intervento precoce, oltre ad essere più efficace è, nel lungo periodo, un risparmio per lo stato che non dovrà spendere in farmaci e strutture residenziali per l’età adulta. Da un punto di vista clinico nel 2011 sono state pubblicate le Linee Guida 21 dell’Istituto Superiore di Sanità ma spesso ancora non sono applicate. Sappiamo che esistono interventi intensivi e precoci su base comportamentale o evolutivo-comportamentale che danno buoni risultati, così come interventi cognitivo-comportamentali co
me l’Educazione Cognitivo Affettiva, l’approccio seguito da noi, che è efficace per ragazzi Asperger o con Autismo lieve. Le linee guida sono una risorsa che consiglio di consultare a chiunque debba decidere come procedere dopo una diagnosi. È altresì fondamentale tenere a mente che l’autismo non è una condizione da combattere direttamente, l’obiettivo non dovrebbe essere la “guarigione” ma l’abilitazione ed il miglioramento della qualità della vita. Per raggiungere questi obiettivi non bisogna trascurare eventuali condizioni mediche, comorbidità psichiatriche e lo sviluppo delle abilità quotidiane e comunicative delle persone autistiche. Una persona nello Spettro Autistico dovrebbe essere seguita e presa in carico da un’equipe di specialisti in diversi campi, in quanto le ricadute sono su tutti gli ambiti della vita umana.
Da un punto di vista sociale è importante che continui l’opera di diffusione della consapevolezza su questa condizione e che si mettano in atto delle buone pratiche di vera inclusione sociale in quanto le persone autistiche non sono un peso ma una risorsa per la società.