Il porporato ha raccontato delle tante autentiche conversioni e cambiamenti di vita che avvengono durante la confessione. “Confessare – ha constatato – significa diventare testimoni della reale potenza della Resurrezione di Cristo vincitore della morte. Si comprende che l’ultima parola sul male è sempre ed unicamente di Dio, che rivela la Sua giustizia nella grazia del perdono”.
In questo contesto, secondo Piacenza, l’accompagnamento spirituale è una relazione che “cerca di far scoprire sempre più la vita di Dio in ciascuno di noi e di aiutare le persone che ne sono coinvolte a fare una forte esperienza del Suo amore misericordioso”.
Per introdurre il tema del segreto della confessione, il porporato ha citato Papa Benedetto XVI che nel corso della Lectio divina al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, (11 giugno 2012) ha denunciato la “cultura della menzogna che si presenta sotto la veste della verità e dell’informazione, in cui il moralismo è maschera per confondere e creare confusione e distruzione […]. Non conta la verità ma l’effetto, la sensazione. Sotto il pretesto della verità si distruggono gli uomini e si vuole imporre solo se stessi come vincitori”.
A tal proposito, il Penitenziere Maggiore ha rilevato che dagli interventi svolti al convegno è emerso chiaramente come nell’ambito del sigillo e del segreto sacramentale la Chiesa abbia elaborato nel corso dei secoli una esperienza ricchissima, oltre ad una normativa dettagliata e rigorosa, volta a tutelare e proteggere quella che si può considerare senz’altro come “la forma più alta del segreto, che riguarda in particolare ogni sacerdote confessore”.
“Questa normativa – ha sottolineato – ha fortemente orientato la normativa stessa degli ordinamenti civili in tema di segreto professionale”. “La fiducia del penitente non deve essere tradita” e la Chiesa “deve garantire uno spazio protetto, in grado di attenuare l’esposizione di sé e la vulnerabilità che sempre accompagnano l’atto di confessare il proprio peccato”. Nello stesso tempo la celebrazione della Penitenza deve essere un evento spirituale e un momento di grazia non solo per il fedele ma anche per il ministro del sacramento.
“Il ministro – ha sottolineato poi il cardinale Piacenza – deve perciò sapere che mentre giudica egli viene giudicato, che mentre parla e consiglia egli è un ascoltatore dello Spirito Santo che gli dona di edificare e consolare il cammino di fede dei propri fratelli e delle proprie sorelle”
Per questo, nel Discorso ai partecipanti al XXV Corso sul Foro interno, promosso dalla Penitenzieria Apostolica, Papa Francesco rimarcò la necessità di “lavorare molto su noi stessi, sulla nostra umanità, per non essere mai di ostacolo ma sempre favorire l’avvicinarsi alla misericordia e al perdono”.
“La Confessione non è un tribunale di condanna, ma esperienza di perdono e di misericordia!”, ha quindi ribadito il cardinale, citando il Pontefice. Ha quindi concluso ringraziando tutti gli illustri relatori e i convenuti, auspicando che il Convegno abbia contribuito ad una considerazione del sacramento della penitenza come occasione, forse l’unica, “dove ognuno sa di poter essere ben accolto, ascoltato e perdonato, la sua interiorità custodita e salvaguardata e la sua fiducia e speranza nella divina misericordia mai tradita!”.