Tra le personalità intervenute stamattina alla presentazione del Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo curato da Aiuto alla Chiesa che Soffre figura Pascale Warda, fondatrice della Società Irachena per i Diritti Umani e già ministro per le politiche migratorie.
A colloquio con ZENIT, l’ex ministro ha descritto il drammatico scenario dei cristiani iracheni, la cui persecuzione, in realtà, non è iniziata con l’Isis ma ha una storia lunga ormai cent’anni.
Prima che si sviluppassero i social network non c’era molta informazione, ma quello dei cristiani iracheni è un genocidio che va avanti dal 1915, è così?
Sì, in Iraq non è mai esistita una situazione di vera pace: posso raccontarlo di persona io stessa: da quando sono nata, nel 1960, il mio villaggio fu distrutto e con la mia famiglia fuggimmo in alcuni villaggi vicini. I miei nonni ancora lo raccontano: fummo colpiti già dal 1915, durante la prima guerra mondiale ci furono dei grandi massacri di cristiani. Il regime promise che ci avrebbero rispettati e che saremmo stati considerati parte del paese. Ma dopo fummo nuovamente colpiti, i Curdi furono utilizzati come braccia del regime iracheno, così i nostri villaggi furono completamente distrutti. Dopo quel periodo la gente cominciò a ricostruire, fino all’eccidio del 1933, quando a Semele furono 4000 le persone ad essere uccise tra uomini, donne, sacerdoti e bambini. Nel 1969, lo ricordo come fosse ieri, nel villaggio di Sorya furono tutti massacrati. Prima della fine degli anni ’70, più volte fummo colpiti dal governo di Saddam Hussein, durante la guerra contro i Curdi, nel 1974-75. Anche se vi furono alcune frange che collaborarono con i Curdi per far crollare il regime, la maggior parte dei cristiani non ebbero nulla a che fare con questo.
Nel 1988, 6000 giovani cristiani furono uccisi durante la guerra con l’Iran: 250 villaggi cristiani furono presi di mira nell’area del Kurdistan con la distruzione di case e chiese. Poi la gente tornò subito dopo per la ricostruzione: quando io mi recai lì vidi che non vi era più nulla. Mi venne in mente un versetto dell’antico testamento in cui si descrive che Abramo dopo la distruzione di Sodoma vide solo un grande fumo che saliva dalla terra, e pensai ‘come faremo a ricostruire tutto?’. Ma grazie all’aiuto di alcune organizzazioni, ponemmo le prime pietre per riedificare la chiesa; allora la gente si sentì di nuovo incoraggiata e piano piano ritornò: prima tre, quattro famiglie, poi diciotto, fino a centocinquanta famiglie nel 2006.
Fino al 2003 eravamo un milione e mezzo di cristiani, ora siamo tra i cinquemila e gli ottomila, perché la gente continua a lasciare il paese: i cristiani furono colpiti anche a Baghdad, a Mosul, come nel 2008. Ora nel 2014 è arrivato il peggio: per la prima volta a Mosul non vi è rimasta più una sola chiesa aperta; persino ai tempi dell’impero Sasanide, Mosul era sempre rimasta il centro della cristianità del Paese e mai fu imposto di chiudere le porte di una chiesa. Come possiamo non guardare ad una situazione simile che dura da così tanto tempo?
Le leggi in questo momento stanno convertendo con la forza la gente all’islam: come avviene questo?
Uno degli articoli del codice civile iracheno impone che ogni minore di diciotto anni venga automaticamente convertito all’islam in mancanza della madre o del padre. Occorre che sia il Parlamento a cambiare la legge: stiamo lavorando per questo, ma non sarà facile.
Voi non dite di combattere contro la sharia, ma di essere in difesa dei valori democratici: questo funziona?
La legge di cui parlavo è in linea con i valori della sharia, ma non con i valori democratici: per questo andrò a discuterne con la Commissione Legislativa e con il primo ministro su come emendare questa legge discriminatoria, facendo appello alla stessa Costituzione, che è per tutti, non solo per i musulmani. I musulmani sono liberi di fare le loro leggi, ma quando noi cristiani proponiamo una legge non è perché siamo contro l’Islam, ma è per corrispondere ai nostri principi religiosi.
Quale era la situazione irachena prima dell’arrivo dell’Isis e dopo?
L’Isis è il risultato della disorganizzazione e della mancanza di strategia politica del paese. I terroristi stanno fraintendendo alcune parti del codice islamico: il governo non può accettare che venga imposto un regime islamico, il popolo iracheno la pensa in modo diverso. La strategia dei terroristi vorrebbe cacciare dal paese tutti quelli che la pensano diversamente, per portare l’Iraq a diventare un Paese come l’Iran ma i musulmani stessi non sono per un regime basato sulla sharia.
Tra la popolazione vi è la consapevolezza che esiste il problema di libertà religiosa?
Quando i cristiani hanno lasciato Mosul, gli stessi vicini di casa si sono impossessati dei loro beni: questo sarebbe stato impossibile prima dell’avvento dell’Isis. L’obiettivo dell’Isis e della guerra santa è quello di cancellare completamente la presenza dei cristiani dal paese, per questo i cristiani hanno perso il diritto a qualsiasi bene. Dopo l’avvento dell’Isis penso che la fiducia di tutta la popolazione verso la protezione internazionale si sia rotta: dobbiamo ottenere protezione internazionale e la tutela da parte dei responsabili del governo attraverso leggi non discriminatorie. Abbiamo scelto un sistema democratico in Iraq, non un sistema islamico ed è giusto che i responsabili tengano conto delle minoranze: siamo popolazioni diverse che vivono nella stessa nazione; possiamo creare le possibilità per vivere insieme, i cristiani sono pronti a vivere insieme ai loro fratelli musulmani anche se i musulmani non sempre si mostrano pacifici verso di loro, ma facciamo del nostro meglio.
Di cosa si sta occupando l’organizzazione per i diritti umani Hammurabi?
L’organizzazione si occupa di mediare, assistere e promuovere i diritti umani in Iraq. Siamo stati la prima organizzazione che ha accolto i cristiani fuggiti da Mosul, siamo presenti laddove vi sono le tensioni più forti con le minoranze del paese, e stiamo cercando di applicare in prima persona la promozione dei diritti umani, fornendo innanzitutto aiuti materiali.
Tra le soluzioni di pace potrebbe esserci quella della creazione di un’area nella quale possano vivere le minoranze?
Se si investisse per la creazione di un’area protetta per queste minoranze all’interno del paese, questo potrebbe rappresentare una soluzione per la pace, offrendo loro protezione attraverso il coinvolgimento di membri delle minoranze irachene e la presenza di forze internazionali e di sistemi di sicurezza interni.
Qual è la situazione femminile attualmente?
La situazione è in deterioramento, i diritti delle donne vengono sempre più calpestati. Anche i diritti politici delle donne spesso non vengono rispettati, in un momento in cui la politica irachena ha bisogno dell’apporto delle donne, mentre la legge islamica non considera la donna come una potenzialità per lo sviluppo del paese. Tuttavia siamo riusciti ad ottenere che non meno del 25% del parlamento sia composto da donne e abbiamo una buona presenza femminile.
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Pascale Warda proseguirà il suo tour di conferenze in Italia con due tappe a Milano e a Torino, per due tavole rotonde dal titolo Cristiani iracheni: la fede nella persecuzione.
Mercoledì 5 novembre 2014, alle ore 18, l’ex ministro iracheno interverrà nella Sala di Rappresentanza del Rettorato dell’Università Statale di Milano, in via Festa del Perdono.
Giovedì 6 novembre 2014, alle ore 18, interverrà nell’Aula Magna della Facoltà Teologica di Torino, in via XX Settembre 83.