La parola “sviluppo” è la chiave per la comprensione della dottrina sociale della Chiesa e le “le difficoltà più profonde per uno sviluppo umano integrale si trovano in una visione deformata dell’uomo e dell’attività economica, che minaccia la dignità della persona umana”.

Lo ha detto sabato scorso, il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, durante la conferenza Dignità umana e sullo sviluppo umano, contestuale all’inaugurazione del Global Gateway dell’Università di Notre Dame.

Il porporato ha assunto come punto di partenza l’Evangelii Gaudium di papa Francesco, citando in seguito Benedetto XVI ed anche Aristotele.

Nella sua esortazione apostolica, Bergoglio ricorda la contrarietà della Chiesa “a un’economia dell’esclusione e della iniquità”. Il Santo Padre denuncia quindi l’esistenza di “grandi masse di popolazione” che “si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita”. È una conseguenza di quella che egli stesso chiama “globalizzazione dell’indifferenza”.

Non è obiettivo della Evangelii Gaudium, appoggiare un sistema economico a discapito di un altro: l’esortazione apostolica ha “uno scopo assai più profondo e lungimirante, che è quello di scuotere le coscienze per promuovere una rinnovata attenzione all’uomo, che non può essere ridotto ad un agente del mercato, a mezzo di produzione o consumatore, o a entrambe le cose”, ha spiegato Parolin.

Rivalutando la dignità dell’essere umano, non può che determinarsi anche una “riformulazione delle fondamenta del pensiero economico”, nonché la chiave per comprendere la corretta relazione tra “sviluppo umano e dignità umana”.

Tanto Francesco quanto Benedetto XVI (nella Caritas in Veritate) insistono sulla “gratuità” come “componente indispensabile per la costruzione e la coesione della vita sociale”. Se si riduce l’uomo a mero “agente economico” si finisce per “scartare la vera identità sociale di ciascuno”, quindi scartare coloro che non sono “utili materialmente”.

Si tratta di una “visione materialista dell’uomo e della società” che è “frutto di un certo pensiero chiuso alla trascendenza, sviluppatosi, sempre con più forza, lungo gli ultimi tre secoli, con importanti ricadute sul pensiero economico”.

Mentre papa Francesco, in linea con la dottrina sociale della Chiesa, che a sua volta attinge ad Aristotele, considera l’economia nel novero delle “scienze tecniche e pratiche”, da subordinare “alla politica e alla morale” e da porre sotto la guida delle “virtù della giustizia e della prudenza”, il pensiero dominante la considera una “scienza fenomenologica, simile alle scienze fisico-matematiche”, con il principale obiettivo della “massimizzazione dello sfruttamento delle risorse”.

Lo stesso Aristotele individuava una “tentazione multisecolare” che porta a “convertire tutte le facoltà umane e tutte le attività in mezzi per produrre denaro”. Una tendenza che papa Francesco conferma e riscontra nella tendenza odierna ad accettare “pacificamente” il predominio del denaro “su di noi e sulle nostre società” (EG 55).

Se si vuole che il servizio dell’economia all’uomo sia efficace “non può mancare di una visione integrale dell’uomo e della società, né di un confronto costante con la realtà con cui si vuole operare. Solo così la scienza economica può essere fedele alla sua essenza di scienza pratica e morale”, ha ricordato il cardinale Parolin.

In caso contrario, l’economia diventa “strumento della dittatura del relativismo e dell’apriorismo”, come già intuito da Benedetto XVI, allorché, nella Caritas in Veritate, aveva sottolineato il pericolo di un “tecnocrazia sradicata da una comprensione trascendente della natura umana”.

Per orientare l’intera attività economica verso lo “sviluppo umano integrale”, occorre quindi una “conversione dell’intelligenza e del cuore”, sostituendo “la fede prometeica nel mercato o in altre ideologie e visioni aprioristiche alternative o contrarie, con la fede in Dio e in una visione trascendente dell’uomo, figlio di Dio”, ha quindi concluso il Segretario di Stato.