Il buonismo non è misericordia

Presentazione del libro del cardinale Gerhard Ludwig Müller, “La speranza della famiglia” (Ares, Milano 2014)

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Desidero anzitutto manifestare la mia ammirazione e la mia gratitudine a Sua Eminenza il card. Ludwig Müller per la chiarezza e il coraggio, mostrati in questo libro, ma anche in questi giorni e in questi mesi, nel suo servizio al ministero di Pietro, il quale è innanzitutto e in prima persona chiamato ad essere il custode del deposito della fede, il tesoro più grande che la Chiesa ha ricevuto e che non è disponibile a manipolazioni e alterazioni. Il Beato Paolo VI diceva in proposito, che la custodia di tale deposito “costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; e a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (At 4,20)”.

E difatti un tempo, per i Padri della Chiesa gli eretici erano appunto chiamati “novatores”: coloro che introducevano elementi spuri e contrastanti con la dottrina di sempre. Per i cristiani invece l’autentica permanente novità è quella che corrisponde pienamente all’antico, all’origine, a Colui che è “semper idem” Gesù Cristo, che è sempre lo stesso ieri oggi e sempre (Ebr 13, 8), le cui parole non passeranno, mentre i cieli e la terra passeranno (Mt 24, 35). Essi sanno che non possono andare “oltre Cristo” e le sue parole, in un’età dello Spirito che abbandona la tradizione per lanciarsi in un’avventura spericolata. Sant’Ireneo diceva di Cristo “omnem novitatem attulit semetipsum afferens”. Qualsiasi tentativo di andare oltre Cristo, chiosava Hans Urs von Balthasar non può che riportarci al vecchio Testamento e alla sua logica. E questo lo si vede proprio sul tema del matrimonio, dove il tentativo di andare oltre la vera novità dell’indissolubilità del matrimonio insegnata da Cristo come corrispondente al “principio” del disegno originario del Creatore, e resa finalmente possibile per la pienezza dei tempi in cui ci è donata la grazia per la presenza dello Sposo, ogni andar oltre – dicevo – in realtà non è che un regredire dentro la casuistica degli scribi e dei farisei.

(…)

Un secondo tema, cui vorrei accennare è quello della misericordia, su cui fin dall’inizio di questo pontificato si agita un intenso dibattito. Si incontrano qui come due visioni di misericordia. Una prima idea, focalizzandosi sui problemi, la concepisce come una “tolleranza”, che in fondo si limita a coprire un male che non può togliere (è una concezione in fondo luterana “simul justus et peccator”, già condannata dal Concilio di Trento: DS 1570: se qualcuno osa dire che il vangelo consiste in un puro annuncio di grazia, senza che sia obbligatoria l’osservanza dei comandamenti per la salvezza, anatema sit); e una seconda idea, che vede la misericordia come una forza di grazia, capace di spingere il peccatore verso la conversione e la guarigione, fino a rigettare il peccato e a vivere secondo la verità e la giustizia della promessa sacra sancita dal vincolo del matrimonio. La misericordia, cioè è la grazia di quell’alleanza fedele che Dio mette nel cuore di ogni legame coniugale e non una soluzione per risolvere situazioni speciali di difficoltà con eccezioni. Si confrontano qui due idee di Dio stesso. Il grande scrittore inglese C.S. Lewis nelle sue conversazioni radiofoniche alla BBC, tenute negli anni della seconda guerra mondiale e raccolte poi nel volume “Mere Christianity” diceva che ai suoi tempi si parlava molto di Dio Padre, ma in realtà si pensava piuttosto a un Dio Nonno. E spiegava: i nonni custodiscono solo temporaneamente i nipotini loro affidati e si preoccupano solo che si divertano senza farsi del male; invece i padri autentici sentono la responsabilità della loro vita, e quindi, di correggere i figli quando è necessario, anche se questo non è loro tanto gradito. I padri si preoccupano di educare davvero i figli per il loro bene futuro e non solo di essere graditi e popolari nella circostanza immediata. Proprio a questa responsabilità ci ha invitato anche papa Francesco a conclusione del Sinodo dicendo che il buonismo non è misericordia e non ci serve.

Infine mi piace segnalare la profonda consapevolezza della dimensione culturale dei problemi della famiglia, che viene espressa nell’intervista. Le difficoltà delle famiglie, le ferite profonde delle relazioni non possono essere affrontate senza una adeguata consapevolezza della circostanza culturale in cui viviamo, nella quale l’emotivismo riduce l’amore a un sentimento temporaneo e fragilizza la volontà, rendendo impossibile l’impegno “per sempre”, l’erotismo pervasivo rende il sesso un’esperienza senza orizzonte personalistico e senza legame simbolico, deresponsabilizzando le persone. E poi c’è la sfida determinata dall’ideologia del gender, che favorisce l’illusione prometeica di permettere a ciascuno di decidere della propria identità, manipolando il corpo come materia plasmabile a piacere, in realtà ci toglie le esperienze fondamentali della figliolanza, della sponsalità, della fraternità, della paternità e della maternità. E’ qui in gioco il destino stesso dell’uomo, che fuori da questi legami costitutivi e donati diventa in realtà non un essere autonomo e libero, ma un individuo isolato e manipolabile a piacere. Papa Benedetto XVI lo disse con accenti forti e drammatici in uno dei suoi ultimi discorsi, negli auguri alla Curia del dicembre 2012. Egli mise anche in connessione la questione della famiglia con la questione di Dio: infatti dal momento che Dio ha scelto di rivelarsi in un linguaggio familiare (diceva San Giovanni Paolo II che la famiglia umana è riflesso creato dei Noi trinitario divino), se viene meno l’esperienza di essere figlio, sposo, fratello,padre e madre, viene meno anche il linguaggio per la parlare di Dio.

Dobbiamo dunque essere davvero grati al card. Müller che con questo libro ci invita a meditare sulle grandi questioni in gioco nel tema della famiglia e ci accompagna quindi con la sapienza di un maestro e con il coraggio di chi rischia per testimoniare la verità, nel cammino sinodale che durerà ancora un anno. Si tratta di una bussola certificata che ci indica il Nord, affinché non ci perdiamo nel relativismo dei pensieri deboli o nella casuistica di una falsa misericordia.

Il testo completo della relazione di monsignor Livio Melina, Ordinario di Teologia Morale e Preside del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, sarà pubblicata nel numero di Novembre di “Studi Cattolici”.

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Livio Melina

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