“Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto Abate”. Così Paolo VI, il 24 ottobre del 1964, apriva la Lettera Apostolica Paci Nuntius con cui proclamava San Benedetto abate “Patrono principale dell’intera Europa”. In una società come quella contemporanea, in cui sembrano essersi persi i riferimenti alla civiltà europea, l’esempio fulgido di San Benedetto si caratterizza per la sua estrema attualità. È per questo che il 28 e il 29 ottobre, l’Università Europea di Roma, con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, organizza delle Giornate Internazionali di Studi dal titolo La figura di Benedetto da Norcia, le origini dell’Europa e il pontificato di Paolo V. Due giornate che – come spiega a ZENIT la professoressa Renata Salvarani, docente di Storia del Cristianesimo all’Università Europea di Roma e tra i relatori dell’incontro – analizzano “come la figura di San Benedetto è stata recepita attraverso i secoli e quale è stata l’incidenza del monachesimo benedettino sulla società e sulle culture europee”.
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Professoressa, in quale epoca storica si inserisce la figura di San Benedetto abate?
La prima cosa da mettere in evidenza è che Benedetto vive in un’epoca di crisi. Si tratta dell’Alto Medioevo, caratterizzato dalle grandi migrazioni, dalla perdita di valori spirituali e da una profonda trasformazione dell’Occidente ma anche della Cristianità. Benedetto è una figura che cambia il mondo perché è consapevole di quello che occorre, ossia – come scrive Paolo VI nella sua Lettera – “la croce, il libro e l’aratro”, della costruzione di esempi nuovi.
Che valore assume il suo celebre proposito ora et labora?
È questa la grande novità di Benedetto. Egli riesce a coniugare due aspetti: la preghiera con l’azione nel mondo, intesa come trasformazione. Questa azione si avvale inoltre di un elemento fondamentale, che è quello della stabilitas, cioè l’esser radicati su un posto. Si abbandona dunque l’idea per cui si debba migrare a seguito di qualche evento specifico, si introduce invece il concetto di insediamento persino in zone malariche, aride, boscose al fine di trasformare il mondo anche dal punto di vista ambientale e agricolo. E questo cambio di prospettiva che avviene grazie a Benedetto dimostra che è possibile creare delle comunità che realizzino il Regno di Dio sulla terra.
San Gregorio Magno, nei suoi Dialoghi, attribuisce enorme importanza all’incontro tra San Bendetto e Totila, re degli Ostrogoti, allorquando quest’ultimo provò, invano, ad ingannarlo…
È uno di quei momenti emblematici che dimostra anzitutto come l’Europa di quei tempi fosse un crogiolo di popoli incapaci al dialogo e dediti alla violenza. Benedetto propone invece di fare di questi incontri un motivo di cambiamento.
Tra tanti Santi, perché proprio Benedetto quale “Patrono d’Europa”?
Il ruolo di Benedetto e del monachesimo benedettino per la creazione dell’Europa è importante per un motivo su tutti. La creazione delle Abbazie ha dato vita a una grande rete che ha coperto tutta quanta l’Europa, da Occidente a Oriente. Le Abbazie sono state motore di trasformazione e di creazione di civiltà in senso cristiano, dimostrando che è possibile realizzare nel mondo il Vangelo vissuto, malgrado le guerre e le migrazioni che colpivano i popoli europei di quegli anni. Quindi Benedetto è un elemento di unificazione dell’Europa ma è anche un fondamentale impulso di civiltà cristiana. Significativo che la Lettera di Paolo VI sia stata scritta nel 1964, un anno di turbamenti e conflitti a cui bisognava far fronte richiamando alla pace. Pace che per il Pontefice non è però un ideale generico di filantropismo, ma affonda le sue radici nell’esperienza benedettina e quindi nella civiltà medievale cristiana.
Qual è il messaggio che la figura di San Benedetto rivolge all’Europa di oggi?
Quello di tornare all’origine. Di tornare cioè a una presenza cristiana che sappia entrare nella società, che sappia penetrare e guarire un mondo sconvolto che fa fatica a trovare un suo futuro. Ebbene, il futuro si trova guardando alla pedagogia dell’esempio che è la cifra di tutta l’esperienza benedettina.