“Dove si difende la famiglia, lì c’è mons. Negri”. Con queste parole è stato introdotto martedì scorso l’intervento alla conferenza dell’Università Europea di Roma “La speranza della famiglia. Il Sinodo e dopo” di mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero della Chiesa. Difesa della famiglia, e quindi dell’uomo, che rappresenta la cifra dell’impegno pastorale di mons. Negri, come emerge dall’intervista di seguito.
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Eccellenza, qual è il messaggio che giunge dal Sinodo ai pastori e alla Chiesa tutta?
È quello di approfondire in modo più significativo l’identità della famiglia così come la tradizione della Chiesa l’ha proclamata. Un’identità dall’inesorabile formulazione di carattere cristologico e con un’espansione di carattere missionario. Se la Chiesa aiuta la famiglia a recuperare questa identità e questa missione, io credo che l’anno che ci separa dal prossimo Sinodo sarà caratterizzato da un fervore di sperimentazioni, di incontri, di integrazioni reciproche. La crisi della famiglia non è rappresentata dai casi particolari, ma dalla necessità di recuperare i suoi fini e i suoi compiti. Questo mi sembra il messaggio più potente del Sinodo, almeno a partire dal documento votato a maggioranza.
Nel corso del Suo intervento alla conferenza dell’Università Europea di Roma ha fatto riferimento alla “scomparsa del senso del mistero”. In che modo questo fenomeno mina la famiglia?
Perché è legato alla crisi della ragione, la quale vive di rapporto con il mistero. La ragione che si chiude in sé stessa e analizza gli oggetti, finirà per analizzare tutto, comprese la famiglia, la maternità, la paternità… Il mistero dà come orizzonte alla vita una dimensione trascendentale, cioè che tende a sorpassare i termini della storicità e ad entrare in contatto con la dimensione definita e permanente dell’essere, che è il mistero di Dio. Quindi il mistero è ciò che anima veramente ogni dimensione umana. Ricordo in tal senso un’espressione straordinaria di un autore che non è cattolico ma che conserva un senso religioso straordinario, William Shakspeare, il quale fa dire a Romeo nel dramma Romeo e Giulietta: “Mostrami un amante che sia pur bellissima, a che servirà la sua bellezza se non come segno ove o legga il nome di colei che di questa bellissima è più bella?”. Nell’amore l’uomo cerca il rapporto con l’infinito e la donna gli appare come segno inequivocabile di un mondo che la trascende e che al cuore dell’uomo è ancor più necessario della stessa donna.
Ha inoltre affermato che “chi si presenta nella scena della società come innovatore sostiene una concezione antropologica totalmente superata dalla storia”. Si riferisce al fallimento delle ideologie nel Novecento?
Certo, ma mi riferisco anche alla radice di quel fallimento, che è una concezione di un individualismo esasperato e – come dice il card. Carlo Cafarra – di un “libertarismo che sembra irresistibile”. Si tratta di una concezione della ragione per cui essa analizza, conosce e manipola tecnologicamente. L’abbiamo vista fallire nelle visioni totalitarie nel XX secolo; l’abbiamo vista fallire nelle relazioni umane perché essendosi dissacrato tutto, del rapporto uomo-donna rimane in piedi soltanto l’interferenza psico-affettiva e sessuale. L’abbiamo vista operare in questi fallimenti e ora rischiamo di pensare la famiglia nella sua pastorale a partire da queste categorie anziché partire dalle categoria virtuose dell’annuncio cristiano e dell’esperienza della fede.
È stato tra coloro i quali hanno pubblicamente stigmatizzato le aggressioni nei confronti delle Sentinelle in Piedi, qualche settimana fa. Da cosa deriva il clima di intolleranza nei confronti di chi difende la famiglia naturale?
Dall’arroganza di chi si ritiene detentore di un “pensiero unico ed egemone”. Il Santo Padre, nell’incontro del maggio scorso con i vescovi della Conferenza episcopale italiana, ci ha messi in guardia dal sopportare senza reazioni un “pensiero unico” ormai prevalente non soltanto in Italia ma in buona parte dell’Occidente. Le Sentinelle in Piedi contestano con una presenza silenziosa e dignitosa, a differenza invece di coloro che le assaltano dando luogo a espressioni di violenza verbale e fisica. Un mio collega d’ambito accademico mi ha telefonato perché era presente a Bologna, e mi ha detto che non ha mai assistito a un’esperienza di odio come quella che ha visto negli occhi e negli atteggiamenti degli assalitori delle Sentinelle in Piedi. Di questo dobbiamo rendercene conto criticamente, anche per riformulare i giudizi e le iniziative pastorali almeno per quanto riguarda la presenza ecclesiale in Italia.
Ha elogiato in passato le iniziative della Manif pour Tous, che ha definito espressione di una “laicità sana”. È fiducioso circa un’espansione in Europa di movimenti di dissenso nei confronti di quello che chiama “pensiero unico”?
Sono fiducioso, intanto perché sono esperienze di popolo e non esperienze intellettualistiche. E poi perché spero che da questa energia fresca che non proviene da interessi e speculazioni, anche la realtà del mondo cattolico europeo – così sonnolento e pavido – possa essere aiutata a recuperare quella battaglia per la fede senza la quale la fede rischia di essere un passato o un’astrazione.