Il trattato dell’Unione Eurasiatica firmato alcuni giorni fa ad Astana fra Russia, Bielorussia e Kazakistan ha lo scopo di creare uno spazio economico unico e favorire una politica coordinata nei settori chiave dell’economia, energia, industria, economia e trasporti. Cerchiamo di analizzare le possibili conseguenze dal punto di vista dell’energia.
Nulla cambierà nei rapporti tra Russia e Bielorussia essendo quest’ultima da sempre dipendente dalla prima per i suoi fabbisogni energetici. Molto più complesse ed importanti possono invece essere le implicazioni tra Russia e Kazakistan. Ancora di più se in futuro a tale unione aderiranno altre repubbliche ex- sovietiche dell’ Asia centrale quali l’Usbekistan e il Turkmenistan.
Il Kazakistan è diventato negli ultimi dieci anni un importante paese produttore di petrolio. Tuttavia il suo peso non risiede tanto nella sua attuale produzione, quanto nelle enormi riserve accertate. Se ad esempio consideriamo l’entità delle sue riserve di gas e le sommiamo a quelle del confinante Turkmenistan, scopriamo che esse sono di poco inferiori a quelle del Qatar, che è il quarto produttore al mondo di questa materia prima.
Esiste però un problema relativo allo sfruttamento di queste riserve ed è che esse giacciono sepolte nelle immense pianure e altopiani dell’Asia centrale o ai bordi del Mar Caspio e i Paesi che le possiedono non hanno accesso al mare.
Per dirla con un termine inglese sono landlocked. Per poter essere venduto, infatti, il petrolio e il gas del Kazakistan deve essere trasportato via oleodotto e attraversare altri paesi prima di arrivare al mare o ad altri consumatori finali. Con questi paesi occorre trovare accordi politici e pagare tariffe per il transito.
Non è questa la sede per addentrarci nelle complesse reti di linee esistenti che collegano ad esempio il gas kazako alla rete della Russia o il suo petrolio agli oleodotti che lo portano sul Mar Nero fino al porto russo di Novorossisk.
Quello che occorre avere bene presente è che per aumentare la produzione al fine di meglio sfruttare le riserve, è indispensabile ampliare la capacità di trasporto delle linee esistenti oppure costruirne delle nuove attraverso nuovi percorsi, nuovi paesi e nuove destinazioni.
Il gioco del futuro è tutto qui ed è una partita di grande valenza geopolitica per almeno quattro paesi: la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e l’Iran. Avrà pesanti riflessi geopolitici nei decenni a venire. La lotta è senza quartiere, strisciante, ma disperata perché gli interessi sono di importanza fondamentale.
Entrano nel gioco, oltre alla società di stato kazaka, anche le più grandi compagnie petrolifere del mondo, quelle americane (Exxonmobil, Chevron, Conoco) quelle europee (Shell, Eni, Total) e la compagnia di stato cinese. La tecnologia occidentale è infatti indispensabile per estrarre il petrolio che si trova a grandi profondità e provoca emissioni nocive.
Fare una previsione su quali saranno i futuri scenari è praticamente impossibile; più facile è tentare di individuare gli obiettivi dei singoli attori. La Russia al momento controlla tutte (o quasi) le vie d’uscita del petrolio del Kazakistan (e del Turkmenistan).
Se riuscisse, attraverso opportuni potenziamenti ad aumentare la portata delle linee esistenti evitando la costruzione di percorsi alternativi che la taglino fuori, otterrà il controllo della maggior parte delle riserve di gas al mondo. Sarebbe una leva politica fondamentale e non solo, potrebbe dettare i prezzi a suo piacimento.
Iran, Cina, Stati Uniti cercano invece di progettare percorsi alternativi per i nuovi oleodotti, ma ciascuno tende a suggerire soluzioni dettate dalla sua singola convenienza.
Nel secolo scorso le due superpotenze, Russia e Stati Uniti si sono misurate attraverso la loro forza militare. Oggi questa da sola non basta e per di più si è aggiunto un terzo attore, la Cina. Le economie industrializzate per funzionare e crescere hanno bisogno di energia soprattutto quella fornita da petrolio e gas. E’ un bisogno disperato perché chi si ferma è perduto.
Il disegno di Vladimir Putin attraverso la creazione della Unione Eurasiatica sembra chiaro per quanto riguarda il problema dell’energia: è quello di creare con le ex-repubbliche sovietiche dell’Asia centrale una politica energetica comune tendente a realizzare le migliori scelte dal punto di vista economico e geopolitico.
Esattamente quello che manca all’Unione europea.
Andrea Abbiati – ex Direttore Generale Agip Petroli