Nonostante i progressi compiuti 6,3 milioni di bambini sotto i 5 anni – fra cui 2,8 milioni di neonati – continuano a morire per cause prevenibili come una diarrea o una polmonite e dal 1990 al 2013 è di 223 milioni il numero di bambini che ha perso la vita per malattie curabili. Un destino in parte scritto nelle difficili condizioni di vita e salute delle madri misurate per la prima volta nel nuovo rapporto di Save the Children Nati per morire. Indice di rischio mortalità mamma-bambino e che possono tradursi in problemi molto seri per il nascituro o neo-nato al punto da comprometterne la sopravvivenza.
La giovane età materna è uno dei principali fattori di rischio: su oltre 7 milioni di adolescenti (15-19 anni) che ogni anno diventano madri, 70.000 di loro perdono la vita mentre ne mettono al mondo una; ma determinante è anche la malnutrizione materna che può incidere sullo sviluppo fisico e cognitivo del bambino, il mancato accesso alle cure prenatali della puerpera con il rischio di non vedere curate eventuali infezioni, il basso livello di scolarizzazione e il reddito della madre.
E’ la Somalia il paese all’ultimo posto del nuovo Indice di rischio mortalità mamma-bambino con i peggiori valori in tutti gli indicatori presi in esame e, non a caso, la nazione con i tassi di mortalità infantile più elevati del mondo: pari a 180 decessi ogni 1.000 nati vivi, a fronte di 3,7 della Danimarca, al primo posto in classifica.
L’Italia si colloca al 19esimo nella zona verde dell’Indice, fra i paesi con bassi livelli di rischio mortalità mamma-figlio e dunque maggiori garanzie di benessere per i nascituri e i neonati.
Tra le minacce evidenziate dal nuovo Rapporto, anche le pesanti conseguenze delle emergenze sulla salute del nascituro o neonato e delle mamme: a seguito per esempio del virus ebola circa 2,5 milioni di bambini sotto i 5 anni sono attualmente esposti al rischio di contagio in Sierra leone, Guinea e Liberia dove purtroppo già muoiono ogni giorno almeno 100 bambini di malaria, diarrea e polmonite. Un numero destinato a crescere per l’impossibilità, da parte dei sistemi sanitari al collasso, di assicurare le cure adeguate e somministrare vaccini o per la possibile rinuncia da parte delle famiglie a rivolgersi a struttute e operatori sanitari per paura del contagio.
I dati del nuovo rapporto “Nati per morire.Indice di rischio mortalità mamma-bambino” vengono diffusi oggi in occasione del rilancio della Campagna Every One per dire basta alla mortalità infantile: oltre 1 mese di sensibilizzazione e raccolta fondi che avrà tra i suoi punti di forza il Villaggio Every One, un grande spazio in piazza dove quest’anno i visitatori potranno essere operatori Save the Children per un giorno e sperimentare le semplici soluzioni per salvare la vita di milioni di bambini. Il Villaggio fa tappa a Roma (9-19 ottobre), Bari (24 ottobre-2 novembre)e Milano (11-16 novembre).
“Nonostante i rilevanti progressi nella lotta alla mortalità infantile, non possiamo accontentarci”, commenta Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children, l’Organizzazione dedicata dal 1919 a salvare i bambini e a promuovere i loro diritti in tutto il mondo. “Ogni anno ci sono oltre 6 milioni di bambini che non cresceranno, non vivranno la propria esistenza, che non saranno mai adulti. Paradossalmente sono bambini “nati per morire”. Tuttora, un bambino che nasce nell’Africa subsahariana ha quindici volte più probabilità di morire di uno che vive in un paese ad alto reddito e il rischio cresce per i neonati che rappresentano quasi la metà delle morti infantili. Su di loro dobbiamo concentrare il massimo degli sforzi, in particolare nei paesi più poveri e in aree di crisi”, prosegue Valerio Neri.
L’Africa subsahariana e l’Asia meridionale le regioni del mondo dove si concentrano i 4/5 delle morti infantili. L’Africa subsahariana in particolare paga il prezzo più alto con 1 bambino ogni 11 nati, che perde la vita prima dei 5 anni.
Polmonite (15%), diarrea (9%) e malaria (7%) sono le cause di 1 terzo delle morti sotto i 5 anni e la malnutrizione resta la prima concausa, poiché indebolisce il fisico dei bambini rendendoli più vulnerabili a infezioni. Un peso determinante hanno anche le complicazioni durante il travaglio e il parto (11%) e le nascite pretermine (17%).
“La causa di queste vite mancanti è strettamente legata alle condizioni di salute della mamma, nel periodo del concepimento, della maternità, durante e dopo il parto”, spiega ancora Valerio Neri. “Monitorare e intervenire sui fattori di rischio per le madri, significa contribuire a garantire al bambino un’eredità positiva, in termini di diritto alla sopravvivenza e di benessere. Per questo Save the Children, nell’ambito della campagna Every One, ha messo a punto l’Indice dei fattori di rischio mortalità mamma-figlio per capire dove i rischi sono più alti e dove intervenire, secondo il concetto di continuum of care: assicurare assistenza e buone condizioni di salute a una mamma, significa proteggere l’eredità che essa trasmetterà al bambino. Solo così milioni di bambini nasceranno per vivere”.
E le mamme adolescenti sono sicuramente quelle più fragili, poiché la loro giovane età può essere fonte di una serie di problemi di salute per il bambino (quali nascita sottopeso, difficoltà respiratorie), oltreché di difficoltà maggiori, a livello sia fisico che psicologico per la madre stessa, come ad esempio l’insorgere di emorragie o la depressione per l’eventuale perdita del neonato. Rispetto ai bambini nati da giovani adulte (20-29 anni), quelli nati da mamme giovanissime hanno metà delle possibilità di sopravvivere al primo mese dalla nascita.
“Ridurre i matrimoni precoci, le gravidanze adolescenziali e aiutare le giovani coppie a prevedere un certo distanziamento fra un figlio e l’altro è cruciale per ridurre la mortalità infantile”, prosegue Valerio Neri.
L’Indice stilato da Save the Children vede agli ultimi 10 posti, dietro alla Somalia, Chad, Etiopia, Niger, Repubblica Centrafricana, Eritrea, Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Tanzania e Mozambico.
In Chad, 152 bambini ogni 1.000 nascono da mamme giovanissime e solo il 23% delle puerpere ha accesso a un numero minimo di cure prenatali. In Niger i bambini nati da adolescenti sono più di 200 ogni 1.000. In alcune aree rurali dell’Etiopia, dove sono molte le donne che ancora partoriscono da sole e non hanno accesso alle cure prenatali.
Al polo opposto dell’indice, con le migliori condizioni di salute e benessere materno, ci sono Danimarca e Norvegia, che presentano una bassa incidenza di gravidanze adolescenziali, denutrizione cronica fra le madri pressoché assente e ampio accesso ai servizi sanitari di base e di pianificazione familiare. Al contempo essi presentano anche i tassi di mortalità infantile fra i più bassi del pianeta, mentre quelli in coda all’indice di Save the Children tra i più elevati del mondo.
“Tra i dieci paesi in fondo all’indice molti sono stati colpiti o tuttora vivono grandi emergenze umanitarie o gravi conflitti economici e sociali. Le situazioni di emergenza e crisi in genere causano un peggioramento delle condizioni di bambini e mamme e innestano circuiti viziosi che si possono tradurre, direttamente o indirettamente, nell’ aumento della mortalità infantile e materna”, spiega ancora Valerio Neri.
In Liberia, Guinea e Sierra Leone, per esempio, l’epidemia di ebola sta avendo un drammatico impatto sia diretto che indiretto: circa 2,5 milioni di bambini sotto i 5 anni sono esposti al rischio di contagio in tutta l’area colpita e si stimano in diverse migliaia quelli che hanno perso la vita o sono rimasti orfani; ad essi si aggiungono gli oltre 100 bambini che continuano a morire quotidianamente di malaria, po
lmonite e diarrea e il cui numero sta purtroppo crescendo: il collasso dei sistemi sanitari insieme alla paura di recarsi nei centri di cura per evitare il contagio, fa sì che malattie di per sé curabili non vengano più trattate e seguite trasformandosi in killer per i bambini..
Save the Children sta operando al massimo delle sue possibilità per fermare la diffusione del virus e proteggere i bambini: 265.000 gli adulti e i bambini raggiunti finora. Inoltre ha formato 3.000 operatori sanitari sulle principali misure di prevenzione del virus; in Liberia ha costruito un Centro per il trattamento di ebola e sta costruendo 10 Unità di cura; in Sierra Leone, fuori Freetown, sta costruendo un Centro di riferimento con 100 posti letto, che gestirà direttamente, in collaborazione con il governo britannico.
“E’ inaccettabile che un bambino debba rischiare la vita solo per essere nato nel posto sbagliato”, prosegue Valerio Neri. “La mortalità infantile può essere prevenuta intervenendo precocemente sui fattori che la determinano e adottando soluzioni spesso semplici e a basso costo quali la formazione di operatori sanitari di comunità in grado di raggiungere e assistere le madri e i bambini nelle zone più remote, la somministrazione di antibiotici e vaccini, la promozione dell’allattamento esclusivo al seno, fornendo zanzariere e sali idratanti, insegnando alle mamme a preparare piatti e alimenti semplici ma nutrienti”.
Interventi per la salute e nutrizione materno-infantile che Save the Children sta portando avanti su larga scala in più di 40 paesi del mondo, nell’ambito della Campagna Every One avviata nel 2009: nel solo 2013, l’organizzazione ha raggiunto 14,4 milioni di bambini sotto i 5 anni con programmi di nutrizione e 13,2 milioni di mamme e bambini con programmi di salute materno-infantile.
Tra gli interventi più rappresentativi dell’ultimo anno quasi 600.000 bambini nati grazie all’aiuto di personale specializzato, più di 580.000 bambini vaccinati e 3,1 milioni di casi di malaria, polmonite, diarrea e malnutrizione trattati. I paesi nei quali sono stati realizzati progetti sostenuti direttamente dai donatori italiani sono 8, con cifre da record nel 2013 per il Malawi, dove i piccoli raggiunti sono stati ben 230 mila, e per l’Uganda, con 278 mila mamme che hanno beneficiato dei progetti realizzati. Gli altri paesi dove sono stati impiegati i fondi raccolti in Italia sono il Mozambico, l’Etiopia, l’Egitto, l’India, il Nepal e il Pakistan.