A partire dagli anni 2000 fu sviluppata negli Stati Uniti una nuova tecnica di perforazione petrolifera chiamata perforazione orizzontale. Essa permette, a profondità variabili, di liberare enormi quantità di gas (e anche petrolio) imprigionate nelle rocce scistose del sottosuolo. Il gas così ricavato viene comunemente chiamato shale gas.

Ancora nel 2007 gli Usa erano forti importatori di petrolio e di gas a un punto tale che l’amministrazione Bush aveva preso in considerazione l’eventualità di stipulare contratti a lungo termine per forniture dalla Russia. Tra il 2007 e il 2008 la produzione di shale gas aumentò del 71% e negli anni successivi continuò più o meno con lo stesso ritmo consentendo agli Usa di raggiungere nel 2013, grazie al crescente contributo dello shale, la quasi parità tra produzione totale di gas e consumi. Tra l’altro il boom creato dalla nuova tecnica di estrazione applicata in migliaia di nuovi pozzi, ha consentito di creare, a tutto il 2010, circa 600.000 nuovi posti di lavoro.

Nel 2013 gli Stati Uniti sono così diventati i primi produttori al mondo di gas con una quantità totale di 627 milioni di tonn (in petrolio equivalente) che corrispondono all’incirca a un quinto di quella mondiale e, grazie a una produzione crescente, diventeranno a breve un Paese esportatore.

È stata una rivoluzione stupefacente realizzatasi in pochissimi anni di cui si è molto parlato e scritto, ma forse la sua portata, che sta rivoluzionando gli equilibri mondiali, non è stata ancora sufficientemente valutata.

L’Amministrazione americana ha cominciato lo scorso maggio a rilasciare licenze di esportazione alle società petrolifere e si prevede che le stesse potranno iniziare entro il 2015, quando anche le installazioni per la caricazione delle metaniere saranno completate. Ma dove esportare?

La risposta è semplice, il mercato più grande, più appetibile e più vicino è quello europeo. È certamente più facile e veloce traversare l’Oceano Atlantico piuttosto che l’Oceano Pacifico e andare a vendere in Giappone e in Cina. I consumi europei sono tra l’altro equivalenti a quelli di tutta l’Asia. Secondo i dati del 2010 i consumi mondiali sono così suddivisi per aree geografiche: Nord America 29 (trilioni di piedi cubici), Europa  21, Russia 21, Asia 19, Africa 4, Medio Oriente 13, Sud America 5, Oceania 1.

L’Europa è quindi il mercato più appetibile. Tuttavia l’Europa è tradizionalmente legata per i suoi acquisti di gas alla Russia. Tutti i gasdotti costruiti dai russi sono orientati da est verso ovest, tutti i Paesi europei, in misura maggiore o minore importano il gas russo, Germania in testa seguita da Italia, Ucraina, Polonia e così via.

Le recenti vicende successe in Ucraina, il conflitto, la caduta del presidente Viktor Janukovic, l’ascesa di Petro Poroshenko sono, in termini di geopolitica energetica, ben viste dal governo Usa. Non appena il nuovo governo di Poroshenko si è trovato a guerreggiare con i ribelli “filorussi” dell’est, il presidente Obama in uno dei suoi recenti viaggi nel nostro Continente si è affrettato a tranquillizzare gli europei annunciando che ogni eventuale riduzione di fornitura dalla Russia sarà compensata dagli Stati Uniti.

In tal senso si colloca anche il fatto che nei promettenti giacimenti di shale gas individuati nella zona mineraria dell’est dell’Ucraina sono entrate di recente società petrolifere americane che hanno firmato contratti per l’estrazione e lo sfruttamento.

E l’Europa? La possibilità di avere un fornitore aggiuntivo oltre Atlantico in aggiunta a quello russo tradizionale dovrebbe a prima vista  tradursi in un vantaggio commerciale. Nel prossimo articolo, quando tratteremo della Russia, scopriremo che forse potrebbe non essere così.

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Andrea Abbiati - ex Direttore Generale Agip Petroli