Visitando una interessante mostra “etnografica” – durante le vacanze estive, trascorse in montagna con le famiglie del nostro Movimento – impressionava la fedele ricostruzione di ambienti domestici e lavorativi, risalenti a tutto l’arco del ‘900, relativi alle popolazioni di quella vallata. L’esistenza, dura e grama, di tanta povera gente, ogni giorno impegnata nella lotta per sopravvivere dignitosamente, faceva riflettere sulla fatica necessaria, un tempo, per guadagnarsi il pane quotidiano: per compiere le azioni, più usuali e consuete, senza l’ausilio dei tanti comfort e dei tanti agi, a cui non sapremmo probabilmente più rinunciare.
Oggi, la “società del benessere”, nonostante il preoccupante perdurare della crisi – che sembra spegnere prospettive e progetti a medio e a lungo termine – alimenta ancora il sogno di una esistenza facile e comoda, con la costante illusione di poter ottenere agevolmente quello che più ci piace e ci aggrada. La legge del “tutto e subito”, impiegando il minor sforzo possibile, regna saldamente dovunque; e quel mondo – fatto di stenti e di faticoso lavoro – appare ormai relegato a un passato remoto e lontano.
Nulla togliendo, naturalmente, agli innegabili benefici del progresso e della tecnica, vale forse la pena di riflettere un poco sul valore sacrale della nostra “umanità” e provare a recuperare il significato autentico della vita, del sacrificio, dell’impegno assiduo per edificare il presente e per aprirsi con fiducia al futuro, pur attraverso gli scogli e le insidie proprie di ogni epoca. Occorre rieducarsi alla sobrietà, alla fedeltà, al lavoro assiduo – anzitutto su se stessi – per migliorare il nostro cuore, per bonificare e dissodare il “territorio” affidato alla nostra cura e alla nostra custodia.
È più facile, certamente, adeguarsi ai criteri imperanti nel mondo, eludendo i passaggi più impegnativi e scomodi e abbracciando il relativismo, sempre più diffuso, che dà ragione all’uno o all’altro dei contendenti, secondo la convenienza del momento. È più facile rassegnarsi alla devastazione delle coscienze; alla penetrazione, nelle nostre scuole – oramai legittimata ufficialmente dalle Istituzioni – di ogni genere di aberrazione, ammantata di presunto “sviluppo culturale”; alle follie delle intoccabili e incontestabili teorie del gender, che deformano e stravolgono il senso stesso della persona e della famiglia, con risultati a dir poco grotteschi. Per il timore di urtare, di offendere – o, sempre più spesso, di essere denunciati – si lascia correre tutto, si evita la fatica di pensare, di discutere, di confrontarsi e di proporre la Verità.
Noi, però, “non ci stiamo” a questo gioco. Ci illudiamo ancora – nonostante tutto – che il buon senso, prima o poi, prevalga e che la ragione illumini di nuovo i cuori e le coscienze. Siamo fiduciosi che i nostri giovani riscoprano il valore e la bellezza di un amore puro e santo; che accolgano la grazia del fidanzamento, stagione della vita unica e irripetibile, e si sposino nel Signore. Ci azzardiamo a credere che la Chiesa riscopra e realizzi sempre, in pienezza, la sua missione: quella di essere “faro per il mondo”, testimone credibile di luce e di amore.
Ci permettiamo di credere ancora nelle risorse dell’uomo, fatto a immagine di Dio, e nella potenza della Grazia. A Fatima la Madonna chiese la recita assidua e fedele del Rosario, promettendo la pace e la salvezza. Non si trattava di una promessa generica o di una pia e patetica illusione: ogni Ave Maria è la conferma – scolpita nella carne e nel sangue stesso di Cristo – di un impegno irrevocabile, preso dal Cielo in nostro favore; ed è anche un rinnovato atto di affidamento della nostra vita al Cuore Immacolato. Anche noi, come i Pastorelli, “ci ostiniamo” ancora a credere nel potere disarmato e disarmante della preghiera, nella autorità della Rivelazione, nella forza travolgente della intercessione della Vergine e dei Santi. Anche noi, con Maria e come Maria, vogliamo essere pellegrini e apostoli lungo le vie di questa nostra epoca, difficile, senza dubbio, ma colma degli imprevedibili fermenti della Grazia.
Il “mese del Rosario” non è che l’ennesima manifestazione della infinita misericordia di Dio, che –nonostante tutto – riafferma la sua fiducia nell’Uomo: mille volte peccatore, piagato dalle conseguenze devastanti della sua colpa, ma sempre disponibile al perdono e alla riconciliazione e aperto alla conoscenza della Verità.
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[Tratto dalla rivista Maria di Fatima, mensile del movimento Famiglia del Cuore Immacolato di Maria]