La buona sanità esiste!

La testimonianza di una paziente dell’Ospedale “Cardinal Panico” a Tricase (LE)

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera inviataci dalla signora Emilia Minerva Rossi.

***

Perché parliamo sempre di malasanità? Perché le cose buone non fanno notizia oppure non si conoscono. Io voglio parlare di buona sanità.

Ho avuto la fortuna, sia pure nella difficoltà, di conoscere la buona sanità e sento il bisogno, anzi il dovere, di parlarne con tutto il mondo, ovvero il nostro mondo di italiani.

Volevo cominciare scherzosamente ed anzi lo faccio, pur se l’argomento è molto serio. Avete mai avuto la ‘fortuna’ di ammalarvi, di scivolare sugli scogli, di cadere in strada o in casa, a Tricase (ridente cittadina – scriverebbero i cronisti – sul litorale salentino)?

Io sì! In pochi minuti arriva a soccorrerti l’ambulanza attrezzata secondo l’esigenza. Gli infermieri, veri professionisti, ti portano in ospedale ed al pronto soccorso; senza snervanti e pericolose attese, con una telefonata interna, si sa dove indirizzare gli ausiliari e gli infermieri: piano, reparto, ecc.

E dopo una rapida radiografia – se necessaria – sei già sistemata. L’assistenza medica ineccepibile. Ma dove siamo? Su Marte o qualche altro pianeta? No! Siamo all’ospedale “Cardinal Panico” di Tricase, in provincia di Lecce.

L’ospedale voluto, sovvenzionato e iniziato prima della morte del Cardinale, fu presto terminato ed affidato alle suore Marcelline. Molte si sono succedute nella direzione che oggi è affidata alla Reverenda Madre, Suor Margherita Bramato.

Ma qui devo riprendere fiato per tutto quanto vorrei scrivere senza dimenticare nessuno. L’elenco è lungo: dal direttore sanitario, dottor Pierangelo Errico, all’equipe di medici, tutti bravi e scrupolosi; ne cito qualcuno che conosco di più: il dottor Ciardo, neurologo, il dottor Fedeli, oculista, il professor Tempesta, ortopedico, il dottor Carluccio e la dottoressa Amoroso, urologi, il dottor Angelelli, chirurgo, il dottor Accogli, cardiologo, e tutti i loro aiutanti.

Ma forse ho dimenticato qualcosa? No! Questo è un capitolo a parte, questa è un’altra meraviglia: una dopo la settima. Questa è la “Casa di Betania”.

Che cos’è la Casa di Betania? Forse potrei definirla… l’anticamera del Paradiso, ma con parole “terrestri” descrivo questa grande opera muraria che sorge a valle del grande ospedale, tra l’altro collegata da uno spazioso sottopassaggio per mezzi di soccorso e pedoni, e ne completa magnificamente la funzione di cura dei malati.

Intorno ad un grande spazio trasformato in una bella e curatissima aiuola e circondata da un ruscelletto con fontanella, ninfee e pesciolini rossi, sorge, dunque, la Casa di Betania.

È una struttura che racchiude una preziosa opera di organizzazione, utilità e conforto per i pazienti terminali e per lunghe degenze e cure palliative.

Il merito va tutto alla reverenda Madre Suor Margherita che ha voluto – tenacemente voluto (“volli, sempre volli, fortissimamente volli” avrebbe detto Vittorio Alfieri) – la nascita, la crescita e la perfetta organizzazione di essa.

Ha girato il mondo per raccogliere idee, scoprire le più sofisticate attrezzature mediche, di comunicazione, di conforto per i degenti. E finalmente il “là”, le sovvenzioni, gli aiuti, le partecipazioni e le autorizzazioni, sorvoliamole.

Suor Margherita ha affidato la Direzione Sanitaria al dottor Aldo Cafarelli, validissimo medico e con alte doti di attento psicologo: cura i mali, ma cura anche lo spirito e non con le usuali parole.

Lo aiutano egregiamente il dottor Cazzato, per il quale non so quali espressioni adoperare: è bravo, scrupoloso, solerte, dolce e paziente, dona a tutti tanti sorrisi senza prosopopea, ma con tanta semplicità; le varie dottoresse che oltre ad essere brave sono anche belle, ed in ultimo, ma non ultimo, il corpo infermieristico. Diviso per categorie, secondo il titolo di preparazione, assume definiti compiti e tutti rispettati con attenzione, dimostrando grande armonia nello svolgimento dell’attività quotidiana.

La parola d’ordine è “igiene” ed è osservata puntualmente. Il sorriso e la gentilezza completano la divisa di questi apprezzatissimi infermieri che io chiamo “gli angeli di Betania”. In tutto questo da fare, naturalmente, non si trascura, anzi si esalta la religiosità e la spiritualità.

Noi degenti, inamovibili, possiamo seguire le Sante Messe e le altre funzioni attraverso la televisione nazionale. E, sempre per sollevare lo spirito, spesso piccoli o grandi concerti o cori di voci bianche ci riuniscono in una delle sale, confinanti con le cappelline, eleganti e sobrie.

“Va be’ – dirà qualcuno scettico o viceversa fanatico – ma qui c’è la Mano del Signore!”. É vero ma il Signore ha saputo dove imprimere la Sua Mano.

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Emilia Minerva Rossi

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