Il Meeting si chiude tornando lì dov’era cominciato. Monica Maggioni nell’introdurre l’evento conclusivo ha sottolineato la circolarità del percorso di quest’anno, apertosi con l’incontro con il custode di Terra Santa, padre Pizzaballa, e terminato con testimonianze dirette provenienti «da angoli di mondo dove essere cristiani è molto più difficile che altrove».
Testimoni di libertà, non serve molto altro per riassumere l’avvicendamento dei racconti che ha chiuso in bellezza la XXXV edizione del Meeting. Racconti dal Pakistan, dalla Nigeria, dalla Siria e dall’Iraq, di chi ha vissuto e vive in prima persona situazioni drammatiche senza precedenti, per i cristiani e non solo.
Il medico pachistano Paul Bhatti porta aventi l’opera cominciata dal fratello Shahbaz, ministro per le minoranze in Pakistan ucciso in un attentato terroristico a Islamabad nel 2011. Bhatti ha raccontato del tentativo di dissuadere il fratello dal continuare la sua opera per il timore delle ripercussioni. Shahbaz affermava di non voler morire; Paul allora lo aveva invitato a raggiungerlo in Italia, dove esercitava la sua professione. «Ma io non intendo questa morte», aveva ribattuto Shahbaz «se mi togliete questa missione, questa è la mia morte».
Paul ha deciso di raccogliere l’eredità del fratello perché, non solo i cristiani chiedevano che qualcuno continuasse la sua opera, ma anche il governo domandava che la via intrapresa non fosse abbandonata, in quanto preziosa per tutti i pachistani. «Dopo quattro anni posso dire che rifarei la stessa scelta. Io ho avuto successo come medico, ma è nulla in confronto a quello che è accaduto in questi ultimi anni. Lavorare per gli altri ti dà coraggio, ti libera dalla paura».
Alla domanda di cosa si possa fare, la risposta è di rimanere «uniti nella fede, essere convinti che questi cristiani debbano essere supportati». E rendersi conto che il problema non è solo salvare i cristiani, ma cambiare un’intera concezione, dove ai bambini cresciuti alla scuola dell’odio si insegna che devono uccidere in nome della religione. «Questi bambini diventano vittima della loro stessa ideologia». Dall’altra parte esempi di dialogo interreligioso sono possibili, sono già presenti: «Dobbiamo essere uniti insieme in preghiera per portare la pace in tutto il mondo, perché la pace è un diritto di tutti».
L’Arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, Ignatius Kaigama, ha sottolineato invece il pericolo del fatto che oggi «ci sono persone che stanno cercando di emarginare Dio dal mondo. Dio viene considerato di seconda importanza, ma so che non permetteremo che succeda questo», aggiunge rivolto al popolo del Meeting. L’arcivescovo ha messo a tema i molti aspetti della situazione difficile del suo Paese, dove tuttavia non mancano segnali positivi, come le donazioni di due emiri per la costruzione della nuova cattedrale cattolica. «È normale avere paura, ma nel promuove il dialogo sono convinto grazie alla nostra fede cristiana: con Cristo siamo sicuri di sconfiggere il male».
Durissimo il giudizio del giornalista Domenico Quirico sulle responsabilità dell’Occidente negli avvenimenti degli ultimi quattro anni in Siria «Verso le periferie del mondo e dell’esistenza il destino non ha lasciato solo l’uomo. No, non è così. Il destino non lo so, ma noi, uomini dell’Europa, dell’America, abbiamo lasciato soli gli uomini che vivono nelle periferie. Se tornassi ora in Siria, che è la cosa che desidero più di ogni altra, non come giornalista ma come uomo, cosa potrei dire a coloro la cui rivoluzione contro un regime lercio come quello di Assad è stata spazzata via per colpa nostra e al suo posto è venuto fuori il fanatismo?».
Ma cosa sta succedendo oggi in Medio Oriente? Da dove viene una violenza così atroce, una violenza che vuole annullare chi si ha di fronte? «Sta nascendo un nuovo totalitarismo», ha affermato Quirico, «che è cosa ben diversa da una dittatura. Il totalitarismo è la negazione dell’altro in quanto altro. In quanto ebreo, tutsi, cristiano. Purificare la società, questo è quello che sta succedendo tra Iraq e Siria. La nascita del Leviatano, eterno e tremendo, che noi europei abbiamo ben conosciuto con il nazismo e il comunismo. Si viene uccisi non perché si ha commesso qualcosa: la propria colpa è quella di essere quel che si è. È scritta nella tua biografia».
Da ultimo, l’intervento di mons. Shlemon Warduni, Vescovo Ausiliare del Patriarcato di Babilonia della Chiesa Cattolica dei Caldei in Iraq, che ha raccontato il dramma senza precedenti che negli ultimi mesi sta colpendo il suo Paese. «Più di centomila persone, tra cui soprattutto le minoranze e tra esse molti cristiani, hanno lasciato la piana di Ninive e Mosul». Warduni esorta i cristiani ad andare avanti perchè nessuno potrà mai sradicare Cristo dal loro cuore. «Noi rimarremo a portare la croce dell’Iraq e in Iraq. Oggi sentiamo una grande grazia che Gesù ci ha dato nel momento della difficoltà, in queste città dove per secoli cristiani e musulmani hanno vissuto in pace. I cristiani preferiscono lasciare tutto che rinnegare Gesù».
A chi gli chiedeva se non avesse paura, il vescovo ha risposto: «Perché dovrei? Dobbiamo servire in ogni circostanza, anche a costo di morire. Morire con dignità è molto meglio che vivere con umiliazione». Warduni ha poi voluto sottolineare il pericolo che quanto sta accedendo rappresenta non solo per l’Iraq, ma per l’intera umanità. «Vi chiedete cosa si possa fare? Innanzitutto prendere la questione sul serio, porre fine alla vendita delle armi, proteggere i diritti delle minoranze».
A questo proposito ha lanciato un appello deciso alle organizzazioni internazionali, dall’ONU al consiglio di sicurezza mondiale, perché non esitino un secondo di più ad intervenire. Un appello è stato poi rivolto anche alla platea del Meeting: «Voi tutti abbiate misericordia di noi. Abbiate cura di seminare la pace e questo salverà il mondo». Un invito con cui termina il Meeting, ma non l’impegno di ciascuno a costruire ogni giorno «l’amicizia tra i popoli».