Lasciati "sedurre" sino alla fine dall'amore di Dio

Commento al Vangelo della XXI domenica del tempo ordinario. Anno A

Share this Entry

Il Signore ci ha “sedotto” con il suo amore, e ci ha fatto una santa “violenza” pur di salvarci. Ma come, non eravamo liberi? Certo, ma cosa ne abbiamo fatto della libertà? Una porta spalancata alla menzogna del demonio. E che violenza le sue bordate, ogni giorno. Batte sempre sullo stesso punto, quello dove la ferita è ancora fresca, nonostante siano passati venti, trenta, cinquant’anni. La morte di tuo padre, l’ingiustizia a scuola, tu ed io sappiamo che cosa ci brucia sino ad incendiarci al solo sfiorarlo.

Ecco, è proprio lì che il demonio viene ad attaccarci, ad innescare l’ira, l’insoddisfazione, l’angoscia: sotto la croce dove il Signore ci ha sedotto e abbracciato, al bordo di quei fatti che ci umiliano nei quali, come su un letto nuziale, Egli si è donato, e si dona per sposarci e unirci a Lui. E infuria la battaglia, cruenta; e, come Geremia, non la sopportiamo. Vorremmo fuggire, dimenticare, sdraiarci e non pensarci più. Invece anche questa domenica il Signore viene a destarci annunciandoci “apertamente” la buona notizia della sua morte e risurrezione.

Ma satana è accovacciato accanto a noi come a Pietro, per graffiarci dove più ci fa male, e indurci all’incredulità e alla mormorazione. La Chiesa ci predica il Vangelo, e noi “prendiamo in disparte” Gesù per spiegargli come deve fare per compiere la sua missione. Di sicuro non è andando a Gerusalemme. Se lì sono preparati il rifiuto, la persecuzione e la morte, beh allora non è proprio quello il posto dove potrà salvarci.

Capiamoci bene: io sto male, e tu Signore che fai, vai a subire la mia stessa fine? Ti ringrazio per il nobile gesto di condivisione, ma non so che farmene. Come Pietro, come gli apostoli, come tutti gli ebrei, io ho bisogno di un liberatore, di uno che combatta per me contro i Romani, contro le ingiustizie, che cambi le sorti della mia vita. Questo è per noi il cristianesimo.

Ma Gesù anche oggi “si volta” abbassandosi verso di  noi per dirci: “Lungi da me satana”.  E così ci insegna le parole con cui un cristiano lotta per difendere la “fede” donata dal  Padre che è nei Cieli, che la carne e il sangue non possono fabbricare.

“Lungi da me satana”, che vuoi rubarmi la primogenitura, la chiamata, la missione; mi sussurri che non dovrà accadere mai che mio marito si metta contro di me, che mia figlia disonori la famiglia, che perda il lavoro, che mi venga un cancro, che resti solo. Va dietro a me uomo vecchio, “tu mi sei di scandalo” sul cammino che conduce alla Gerusalemme della fede adulta e all’uomo nuovo.

Per questo Gesù è “violento” con noi come Dio con Geremia; ci insegna a non temere di tagliare e rinnegare, perché violento è stato ed è il demonio che vuole farci inciampare impedendoci di diventare figli di Dio.

“Il Regno dei Cieli, infatti, è dei violenti”, di chi rinnega l’uomo della carne e si consegna a Cristo lasciando che arda il “fuoco” incontenibile dello zelo per il Vangelo, la cui scintilla è stata accesa con la chiamata.

Ma per diventare un discepolo autentico di Gesù, occorre abbandonare “la mentalità di questo secolo”, e “trasformarsi rinnovando la mente” e i suoi pensieri, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Un cristiano, infatti, ha discernimento, perché non “pensa più secondo gli uomini ma secondo Dio”.

Per questo lotta ogni giorno, offrendo se stesso in un “culto spirituale” che forse nessuno vedrà, ma “vivo, santo e gradito a Dio”. Il Signore ci chiama dunque a cambiare radicalmente mentalità, rinunciando in ogni circostanza a satana e ai “pensieri mondani”.

Un “pensiero secondo gli uomini”, infatti, è quello di chi non ha compreso il senso profondo della Croce, perché non l’ha vista gloriosa nella propria vita. Ma è stolto, non vede oltre e dentro i fatti, la storia, le persone. Si ferma all’apparenza, e teme. Il demonio, infatti, ci nasconde la verità, presentandocene una sola parte, enfatizzata negativamente. Al punto che Pietro non si accorge di dire a Cristo che non gli deve non solo di essere perseguitato e ucciso, ma anche di risorgere!

Il demonio trucca sempre la bilancia, e fa pendere tutta l’esistenza dalla parte di tre giorni, così che esigiamo da Dio e dagli altri il risarcimento per l’immensa ingiustizia che subiamo.  Ma non è irragionevole pensare che tre giorni pesino più dell’eternità? E’ come se tre piume pesassero più di una tonnellata di ferro…

Eppure è quello che fa il demonio con noi. Perché il suo obiettivo è non farci andare a Gerusalemme e risorgere, essere salvati. Lo stesso che voleva fare con Gesù per vanificare il piano di Dio. Per questo non vogliamo e non possiamo entrare nei momenti decisivi in cui rinnegare se stessi per amore della moglie, del marito, del fratello, del nemico.

Anche per noi la Parola della Croce “resta oscura”, perché satana ha spento la luce della Pasqua, senza la quale tutto perde senso. E lo fa per bocca di Pietro… Spesso ci inganna attraverso le persone più care, le più religiose, forse un prete, ma nessuno di questi ha l’esperienza della Gloria che illumina la Croce.

E’ necessario allora un cammino di conversione serio come quello di Pietro. Deve portarci alla Passione, cioè allo scandalo della Croce e alla verità su noi stessi; ad essere in un certo qual senso spettatori come Pietro, che si addormenta, vorrebbe far guerra ma poi tradisce, che segue da lontano, che piange…

Dobbiamo vedere il Mistero Pasquale sottratti alle alienazioni, contemplarlo cioè dalla nostra debolezza conosciuta e accettata sino alle lacrime di pentimento, che anticipano e preparano le acque del battesimo.

Sperimentare che abbiamo tradito la chiamata, e scendere con Cristo nel sepolcro: Lui in quello concreto di Gerusalemme, noi nell’angoscia, nella paura: ciò significa concretamente restare nel Cenacolo, nella comunità dove abbiamo ricevuto il Testamento di Cristo, la Santa Eucarestia, senza averne compreso il valore, il senso, il potere.

Restare lì, con i fratelli, tremando, dubitando, ma uniti nelle viscere della Chiesa, dove potremo, finalmente, fare l’esperienza che Cristo è risorto e viene a cercarci; che ci mostra le sue piaghe d’amore, gloriose, luminose. Ecco, dobbiamo arrivare a mettere le  mani nelle ferite di Cristo, toccare la Gloria che lo aspettava e lo ha accolto dopo la Croce, la morte e il sepolcro.

Sperimentare che mentre dormivamo, peccatori e incapaci di tutto, Gesù ci amava, ci salvava; che dentro la Croce è nascosto il tesoro più grande, per noi e per il mondo. Con Pietro dobbiamo arrivare a sperimentare e toccare la resurrezione che getta un bagliore su ogni evento difficile della vita, per riconoscere in essi le piaghe di Cristo.

“Prendere la Croce” significa aver sperimentato che Gesù crocifisso è il Signore della Gloria; che la Croce non è uno strumento di tortura e di morte, ma di liberazione e di vita. Scoprire che quello che per il pensiero degli uomini non deve accadere è proprio ciò che mi salva e guai se non accade!

Questa è la differenza tra un cristiano e un pagano, tra chi ha lo Spirito di Cristo disceso sul cenacolo, e chi non ce l’ha. Questa è la differenza tra un “discepolo” che segue Cristo, e un orgoglioso, che lo vuole anticipare.

La differenza tra chi ha il pensiero del mondo e chi quello di Dio. Lui sa che siamo peccatori, incagliati nella menzogna del demonio. Per liberarci deve portarci a Gerusalemme con Cristo. “Deve” crocifiggerci con Lui… Non c’è alternativa.

Allora comprendiamo quale sia la parola più importante del Vangelo di questa domenica, quella che lega la Buona Notizia alla nostra vita, la vittoria di Cristo al nostro cuore: “se”.

Vuoi essere discepolo di Gesù? Lui ti ha s
celto, ti vuole con sé; ti ha chiamato e accompagnato nella Chiesa. Hai camminato immerso nella sua fede, e, con Pietro, hai riconosciuto che è il figlio del Dio vivente.

Ora, “apertamente” Gesù ti dice che cosa significa per te essere un figlio di Dio. Perché a questo sei chiamato, ad essere cristiano, cioè di Cristo, una sua immagine conforme…

Lo vuoi davvero? Vuoi stringere con Cristo questa alleanza che ti fa una cosa con Lui, figlio nel Figlio che guadagna la sua vita perdendola e che non perde la sua anima perché abbandona ogni desiderio mondano.

Figlio che sperimenta la vita che non muore mentre tutto muore; figlio che “rinnega” se stesso

e per questo sa stare “tre giorni” nel sepolcro, con pazienza, senza toccare nulla della storia, senza ribellarsi, muto e mite, docile e mansueto come un agnello davanti ai suoi tosatori. 

Figlio che ogni giorno si alza per “andare a Gerusalemme” dove offrirsi per amore, e compiere così la missione di rendere testimonianza alla verità. L’ufficio come il sinedrio, il marito come Pilato, la moglie come Caifa, i figli come la folla che voleva Cristo crocifisso…

E non lo dimenticare mai, ogni pensiero del mondo è nemico della Croce, e, se si attacca a tuo figlio, lo uccide… Poi “non potrà dare nulla in cambio della sua anima”. Vai allora, e muori per lui, perché in lui sia affermata la Verità: annunciagli senza posa “qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?”. 

Così fece Sant’Ignazio di Loyola con Francesco Saverio, e questa parola erose il suo orgoglio trasformandolo nel più grande apostolo dopo San Paolo. Era diventato, semplicemente un figlio di Dio, un cristiano, un discepolo di Cristo ormai capace di seguirlo ovunque. 

Anche dove il demonio con le sue menzogne impedisce al mondo di andare; per smentirlo con i fatti e, con l’annuncio del Vangelo, mostrare che è falso quello che dice: si può andare a Gerusalemme eccome, e perderci la vita per ritrovarla piena e bellissima.

Pastori, Vescovi, preti, suore, padri, madri, catechisti, siamo stati chiamati alla Chiesa per essere formati e ricevere in dono la fede adulta, non per rimirarci allo specchio, ma per annunciare “apertamente” al mondo, ovvero con “parresia”, che la Croce è l’unico cammino alla felicità, alla “salvezza della propria anima”, alla vita vera ed eterna. Perché su di essa Gesù ha rinnegato se stesso per affermare te e me, peccatori senza alcun diritto. Ha perduto la sua vita per ritrovare la nostra, e così risorgere con noi

Coraggio, perché questo è il tempo nel quale dare a Cristo tutta la nostra vita. Non l’hai mai fatto davvero, sino in fondo. Guarda bene e vedrai che stai difendendo qualcosa. Sino ad oggi ci sono state delle intercapedini tra te e Lui. Invisibili a occhio nudo, ma reali. In esse hai continuato a fare la tua volontà, a gestire perfino la conversione, il ministero, la maternità e la paternità, per saziare il tuo uomo vecchio.

Basta, lasciati sedurre sino alla fine; abbandona la tua volontà e obbedisci nelle piccole cose, triturando la tua volontà infettata dal pensiero del mondo; e sperimenterai la gioia che nessuno potrà mai toglierti, la libertà che solo donandosi per amore sulla Croce si sperimenta. 

Share this Entry

Antonello Iapicca

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione