Stare in periferia significa soprattutto vivere e favorire lo sviluppo umano di chi vi abita. Emblematica è, a tal proposito, l’esperienza della Fondazione AVSI che al Meeting di Rimini di quest’anno, per l’occasione, ha realizzato la mostra Generare bellezza. Nuovi inizi dalle periferie del mondo.
L’Africa e l’America Latina – segnatamente il Kenya, l’Ecuador e il Brasile – sono al centro dell’attività di centinaia di volontari, la cui strada intrapresa andava ben al di là dei loro progetti personali.
Come ha testimoniato Stefania Famlonga, responsabile dell’AVSI in Ecuador, il contatto con popolazioni molto diverse dalle culture di cui si è originari ha portato come risultato una rinascita nei cuori degli stessi volontari.
“Arrivai in Ecuador nel 2003 non per mia scelta ma per obbedienza ai miei formatori”, ha raccontato Famlonga, che aveva già all’attivo un’esperienza analoga in Romania.
Per Stefania l’incarico consisteva nel seguire da vicino donne – madri di famiglia in particolare – vittime di particolari disagi sociali, avvicinandole al Vangelo e alla spiritualità di Comunione e Liberazione.
Anche per chi è già formato e non è nuovo ad esperienze missionarie, non è affatto scontato viverne una nuova in perfetta coerenza con il Vangelo. Subentrava, ad esempio, la tentazione di ritenere quelle donne troppo “sentimentali”, salvo poi scoprire che esse erano “come i pescatori che incontrarono Gesù”: autentiche, dirette ed aperte a Dio.
Nella missione dell’AVSI, le donne ecuadoriane avevano incontrato l’abbraccio di Cristo che consola e che salva. Donne che hanno ritrovato la propria dignità, riscattando anche matrimoni infelici con uomini violenti, che, grazie alla presenza di altre donne venute da un altro continente hanno potuto sperimentare che la vita non era soltanto desolazione, solitudine e sopraffazione.
L’opera di AVSI in Ecuador, ha sottolineato la volontaria italiana, ha ricevuto l’elogio e la benedizione da parte di don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione che, ai 3200 metri d’altitudine delle Ande ecuadoriane, ha potuto riscontrare la realizzazione concreta di quel Vangelo quotidianamente predicato sugli altari italiani.
Sebbene non tutti gli ecuadoriani con cui AVSI è entrata in contatto si siano fattivamente ‘convertiti’, il risultato è stato comunque ragguardevole, al punto che lo stesso Carron ha commentato ricordando che gli stessi primi discepoli avevano trascorso parecchio tempo, prima di poter dire: “Ho incontrato Cristo”.
È successivamente intervenuto il giornalista John Waters, curatore della mostra dell’AVSI, testimoniando anch’egli la propria esperienza missionaria, culminata in Brasile.
Pur provenendo da una famiglia di umili origini dell’Irlanda occidentale (“non avevamo l’acqua corrente in casa”), Waters ha affermato di non aver mai avuto una precisa e definita concezione di “povertà”.
Sebbene la miseria materiale, sia una problematica di assoluto rilievo, la vera chiave, ha spiegato, è nella dignità della persona, nella sua conflittualità o armonia con il mondo.
In Africa e in America Latina, Waters è rimasto colpito dalla dignità delle persone: “pur non capendo bene lo spagnolo mi sono sentito a mio agio, c’era qualcosa che andava al di là della mia comprensione, che funzionava perfettamente”, ha raccontato.
E anche in questi contesti, la bellezza emerge prorompente nello sguardo dei bambini, il cui “segreto” è nel sapere “cosa c’è davvero bisogno per essere felici”, ovvero qualcosa di molto diverso dalla ricchezza materiale.
Al di là della carenza materiale, la vera povertà, ha aggiunto il giornalista irlandese, è nella corruzione ma in particolare “nelle ferite di chi non ha il coraggio di guardare in faccia il resto del mondo”.
Ristabilire lo sguardo tra gli uomini è quindi il punto di partenza. “Il povero va guardato in faccia non per paternalismo ma per aiutarlo a vivere, per dirgli: stiamo davvero insieme”, ha quindi concluso Waters.