Maestro e Pastore. È questo il significativo titolo del libro che raccoglie scritti e discorsi del card. Dionigi Tettamanzi sui temi di bioetica, salute e medicina. Uscito di recente per i tipi delle edizioni San Paolo, il testo è curato con molta attenzione dal prof. Alfredo Anzani, già presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani.
Il filo rosso che conduce dal titolo all’interno del libro è la “cura dei curanti”, cioè l’attenzione pastorale e umana verso chi si trova in prima linea nel mondo della sanità. Questo livello di attenzione introduce ad un dato fondamentale: prima di dire “cosa si deve fare” bisogna stare accanto a chi opera, essere compagno e maestro, ricostruire l’umanità di chi è chiamato a fare scelte sulla vita altrui, perché un’umanità disfatta fa per forza delle scelte forzate o azzardate o colme di paura.
E il cardinal Tettamanzi getta delle parole liberatorie per i medici: il medico è un “filosofo, nel senso originario e insuperabile del termine, ossia colui che ama la sapienza e conosce e sperimenta il vero senso della vita [che] deve essere testimoniato e comunicato agli altri” (p 196); e “c’è una religiosità nascosta che è intrinseca e nativa nella professione e nel servizio del medico. Come dire che il curare i malati è già annuncio del regno di Dio” (p 253). Ma addirittura “il medico è una sorta di miracolo vivente, proprio perché anche la missione del medico, almeno in linea di principio, è partecipazione e, in qualche modo, rivelazione dell’amore di Dio che si prende cura dei suoi figli” (p 259), scoprendo “in ogni cosa il riflesso del Creatore e in ogni persona la sua immagine vivente” (p 258).
Ma attenti al mal-trattamento del medico: “una medicina che non si interroga sul fondamentale rapporto che essa intrattiene con la dignità dell’uomo rischia […] anche di disumanizzare il medico” (p 312). Ecco allora la pressante richiesta di creare ambiti e strade per la crescita umana e spirituale del medico sollecitando ad un lavoro personale: “Il medico per vivere questo sguardo contemplativo sul malato ha bisogno di rivolgerlo anzitutto su se stesso” (p 206), ad un impegno educativo “il problema si pone nei confronti dei giovani medici: quali e quante occasioni di crescita culturale e formativa in campo etico trovano oggi?” (p 260), e ad un impegno sociale “Se è così grande la missione e così grande la responsabilità del medico, quanti hanno un compito istituzionale nell’ambito politico, legislativo, amministrativo e dirigenziale sono chiamati […] a favorire il medico stesso nella sua attività quotidiana senza inutili limitazioni e impedimenti” (p 261); e tra gli impedimenti annovera “la cosiddetta aziendalizzazione della sanità indubbiamente legittima […] ma problematica e talvolta inaccettabile se volesse scimmiottare altre aziende importando acriticamente da quelle criteri e modelli non applicabili al settore sanitario.” (p 262).
È un libro, insomma, che aiuta a “prendersi cura di chi si prende cura degli altri”, in un’epoca in cui il mondo medico appare per vari motivi insoddisfatto; anzi, come recentemente riportava il British Medical Journal, i medici sono “unhappy”, cioè “scontenti” con uno scontento che “ha varie cause di cui alcune profonde”. (BMJ 2001;322:1073-4).
L’insoddisfazione e la delusione della categoria medica non vanno sottovalutate; perché quando si parla di bioetica si deve in primo luogo coltivare chi la bioetica la applica giorno per giorno, troppo spesso strattonato tra tendenze sentimentaliste, pragmatismo burocratico e resa cinica. In questo – e nell’approfondimento dei vari temi etici – il testo aiuta molto. Bisogna che il medico rinasca come medico, come persona e come credente. Per questo urge che venga aiutato a interrogarsi sul suo lavoro e sul “fondamentale rapporto che [esso] intrattiene con la dignità dell’uomo” (p 312), ricordando che il medico ha il compito di “essere custode e servitore della vita dell’uomo […] ed essere strumento della salvezza che Dio solo dona all’uomo” (p 317). Il testo è un percorso in questa direzione.