Il tema del Meeting di Rimini di quest’anno – le periferie del mondo e dell’esistenza – non poteva non chiamare in causa papa Francesco e il suo magistero.
Ciò è avvenuto stamattina con l’intervento di padre Antonio Spadaro: stimolato dalle domande e dagli spunti di Alberto Savonara, portavoce di Comunione e Liberazione, il direttore della Civiltà Cattolica, gesuita come il pontefice, si è confermato uno dei più avanzati ermeneuti del magistero bergogliano.
Le periferie di cui parla Francesco non sono uno “slogan”, né un’astrazione ma una realtà concreta, un “mare aperto” in cui i cristiani di oggi dovrebbero andare a pescare.
Bergoglio, ha osservato Spadaro, è, dopo molti anni, il primo “papa urbano”: avendo vissuto e predicato per decenni in una megalopoli come Buenos Aires, egli è consapevole che una città è incomprensibile se non si transita per le sue periferie.
E in poco tempo, papa Francesco ha rivoluzionato, o meglio consolidato, vari concetti, come ad esempio quello di “dialogo”, il quale non implica soltanto conversazioni e parole ma in primo luogo “empatia”, capacità di ascolto e di intuizione del pensiero dell’altro, finanche dei concetti non espressi verbalmente.
Con questo pontefice cambia anche l’immagine di Chiesa come “faro” dell’umanità: Francesco predilige infatti la metafora della “fiaccola”, una realtà dinamica che accompagna gli uomini in ogni luogo, finanche sull’orlo del baratro, con l’intenzione di strapparli alla perdizione.
La Chiesa di Francesco è una Chiesa presente ovunque, che non guarda al mondo come un “problema” – laddove un problema è qualcosa che sarebbe meglio non ci fosse – ma come una “sfida”.
C’è tuttavia un ulteriore rovesciamento che emerge nella predicazione del pontefice argentino ed è nell’approccio alle domande fondamentali del cuore umano e nelle relative risposte.
In un mondo in cui – grazie a Google, a Wikipedia e a tutti i motori di ricerca – ogni risposta è a portata di mano, si sta smarrendo il senso della domanda. Francesco, in tal senso, ci provoca e, nella maggior parte delle sue omelie e catechesi, è solito interrogare i credenti sul reale stato della sua fede, ad esempio, chiedendo loro se – calati nella storicità evangelica – avrebbero agito come Pietro, piuttosto che come un altro apostolo.
Prendendo in mano le redini della Chiesa Universale, Bergoglio ha favorito l’eclissi di un cristianesimo come sistema di “valori e contenuti”, con relative “battaglie” da portare avanti.
La contrapposizione tra il ‘noi’ e il ‘loro’ si dissolve e si riafferma una Chiesa fedele alla realtà evangelizzatrice delle sue origini, in perenne movimento ed in costante ricerca della “pecorella smarrita”.
A papa Francesco non piace l’immagine melensa e rassicurante di un Cristo che tiene le sue pecore protette e coccolate al caldo dell’ovile, in quanto “l’ovile è fuori”, ha argomentato Spadaro.
Ecco dunque una Chiesa dalle porte aperte, non tanto ai fini dell’ingresso degli uomini, quanto all’uscita di Dio, all’agevolazione della sua presenza nel mondo.
Gesù, quindi, è attrattivo non tanto per la protezione che offre, quanto per lo stimolo che dà agli uomini ad uscire dalle proprie vite, a mettere in discussione le loro certezze.
Secondo il direttore di Civiltà Cattolica stiamo vivendo un “tempo di enorme densità spirituale”, del quale tuttavia il vero iniziatore è stato il papa emerito Benedetto XVI, il quale, all’atto della sua rinuncia, aveva individuato una serie di “rapidi mutamenti” all’orizzonte e delle “nuove sfide”, dimostrando una straordinaria intuizione di ciò che stava accadendo ed operando così un autentico “passaggio del testimone” nei confronti del suo successore.
Anche per questo motivo, dunque, ha affermato in conclusione Spadaro, è particolarmente “stucchevole”, oltre che “pericoloso, contrapporre il pontefice regnante al suo predecessore: fare ciò significa non saper cogliere lo spirito della Storia”.