Verrà presentato domani al Meeting di Rimini nel padiglione C5 il libro scritto da Roberto Gabellini L’ultima marcia del tenente Peguy, edito da Ares.
Ha raccontato Allesandro Rivali nell’introduzione al libro, che Charles Péguy morì agli albori della grande battaglia della Marna. Era il tardo pomeriggio del 5 settembre 1914. Era subentrato al comando della sua compagnia, la 19ª del 276° reggimento di fanteria, dopo che il suo capitano era stato colpito.
Il tenente Péguy fu fulminato a Villeroy da una pallottola in fronte mentre, in piedi, incitava gli uomini ad andare all’assalto. Lo ritrovarono in un campo di barbabietole. Si concludeva così, a soli 41 anni, “il viaggio terreno di una delle voci più profetiche del Novecento. Un magistero fiammante, limpido e, forse, ancora oggi inascoltato”.
Secondo Rivali, L’ultima marcia del tenente Péguy è “il bilancio di una vita letto nella prospettiva di un conto alla rovescia verso la morte ed è anche la storia di una vocazione. Singolare, personalissima, unica, come ogni vocazione”.
Nel ’14, quando risuonarono i tamburi della guerra, si registrò una generale euforia. La Francia correva spensierata verso il suo destino di più di un milioni e settecentomila morti. In questo contesto Peguy andò in guerra. Péguy fu tra i primi artisti ad essere risucchiato nel disastro della guerra mondiale.
Nella postfazione, Pigi Colognesi narra che Péguy ebbe una vita tormentata. La casa editrice in cui aveva riposto le sue speranze e il suo patrimonio, rovinò presto. Il periodico lettrario Cahiers de la Quinzaine, di cui fu indomito direttore per anni, gli risucchiarono ogni energia. E poi, il martirio del cuore. Il matrimonio diventato freddo. L’amore per la giovane Blanche Raphael, che non diventò passione per restare fedele alla sposa. La lontananza dai sacramenti, dopo aver ritrovato la Fede.
Nonostante tutto Gabellini nel libro sostiene che Peguy “fu sempre un alfiere della speranza”.
Il poeta francese aveva scritto ne Il portico del mistero della seconda virtù che: “La fede che preferisco, dice Dio, è la speranza. / La fede non mi stupisce. / non è stupefacente. / Risplende talmente nella mia creazione. / Nel sole e nella luna e nelle stelle. / In tutte le mie creature. / Negli astri del firmamento e nei pesci del mare […] Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce. / Me stesso / Questo è stupefacente. // Che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina. / Che vedano come vanno le cose oggi e che credano che andrà meglio domattina. / Questo è stupefacente ed è proprio la più grande meraviglia della nostra grazia. […] Questa piccola speranza che ha l’aria di non essere nulla. / Questa bambina speranza. / Immortale. […] Eppure è questa bambina che traverserà i mondi / Questa bambina da nulla”.
Il 3 settembre 1941 Péguy arrivò a Montmélian, si fermò al Convento degli Eremiti, nella cappella dell’Assunzione. Raccolse i fiori e pregò intensamente di fronte a una statua lignea della Madonna che era stata nascosta sotto il fieno per sottrarla alla furia giacobina.
“Di fronte alla statua di Maria, Péguy passò una veglia d’amore. Come un antico cavaliere. Come solo un poeta sa fare, 48 ore prima della pallottola fatale”.
Per Rivali “L’ultima marcia del tenente Péguy è il bilancio di una vita letto nella prospettiva di un conto alla rovescia verso la morte ed è anche la storia di una vocazione. Singolare, personalissima, unica, come ogni vocazione”.
Nel Mistero della carità di Giovanna d’Arco Péguy aveva riflettuto sul tema della chiamata: “Se Dio ha delle intenzioni su di te, tu non troverai mai riposo, il pane quotidiano del riposo, il riposo come gli altri, il riposo di tutti, il riposo su questa terra. Dio non ha delle idee come tutti. Ha delle invenzioni incredibili, e precisamente quelle che non ci si aspetta. Ascolta dunque. Se Dio ti chiama, tu non resisterai a Dio”.
Conclude Gabellini “lascia che sia la grazia a darsi da fare, / se vuole; lei che è insidiosa, è scaltra, / che è sempre inattesa, è ostinata; / che se non viene diritta, certo, / trova sempre un qualche modo, / per quanto strano, d’arrivare alla meta”.
Si tratta del credo di Péguy che nel “Portico del mistero della seconda virtù” ha messo in bocca a Dio queste parole: “Bisogna che la mia grazia sia in effetti di una forza incredibile / E che sgorghi da una fonte e come un fiume inesauribile. / Da quella prima volta che sgorgò e da sempre sgorga / […] Una fiamma impossibile da raggiungere, impossibile da spegnere al soffio della morte”.