La bella notizia allevia il dolore di quanto sta accadendo nel mondo a causa delle violenze e delle persecuzioni verso le comunità cristiane e altre minoranze religiose, perpetrate dalle forze islamiche.La situazione rimane confusa e, tra la gente comune, sorgono nuovi e vecchi interrogativi. Come ad esempio: chi, in Iraq, in Libia e in Siria, stia combattendo contro chi e per quale motivo? Oppure: Che ruolo ha, in tal contesto, la Comunità Internazionale?
Interrogativi che ZENIT ha posto a Rodolfo Casadei, giornalista inviato del settimanale Tempi, esperto e autore di innumerevoli reportage nei luoghi di conflitto del Medio Oriente. Tornato da pochi giorni da un viaggio nel Kurdistan iracheno, Casadei ha incontrato lì combattenti, profughi, cristiani, yazidi, autorità, ad appena un chilometro dal fronte dove i Peshmerga curdi cercano di respingere l’Isis.
Riguardo alla liberazione di Peter Theo Curtis, il giornalista spiega che da due anni il reporter americano era da due anni nelle mani dei Jabhat al Nusra, gruppo legato al Al Qaeda, affine ideologicamente all’Isis ma nello stesso tempo rivale. In un primo momento, infatti, l’Isis voleva allearsi con Jabhat al Nusra in modo da creare insieme il califfato di Siria e Iraq. Jabhat al Nusra voleva però creare un emirato islamico in Siria. Una linea, questa, appoggiata da Al Qaeda che ha posto il gruppo in conflitto con l’Isis. Da possibile alleati i due gruppi sono diventati quindi rivali. Secondo Casadei, è probabile che Jabhat al Nusra abbia voluto distinguersi dall’Isis liberando l’ostaggio statunitense, in modo da evitare di subire gli attacchi americani.
Interrogato sulla situazione dei cristiani in fuga dalle violenze e dalle persecuzioni, Casadei racconta che “da giugno abbiamo avuto diverse ondate di profughi, prima con la caduta di Mosul poi con la caduta della città di Qaraqosh: 45 mila abitanti a maggioranza cristiana”. Dopo l’editto del Califfo di Mosul, l’attacco dell’Isis nella piana di Ninive e il ritiro dei Peshmerg, nella notte tra il 6 e 7 agosto, circa 150.000 persone sono fuggite dalle loro case, spiega il giornalista.
“Così la piana di Ninive dove i cristiani vivono da circa 1600 anni si è svuotata. Insieme ai cristiani sono dovuti fuggire gli Yazidi, altra etnia e minoranza religiosa di origine zoroastriana che conta un numero di fedeli pari a quello dei cristiani iracheni. Adesso i profughi sono concentrati nelle tre città curde, Erbil, Duhoc e Zakho”.
Secondo l’esperto, “la situazione è proibitiva dal punto di vista climatico con temperature che non scendono mai sotto i 33-34 gradi durante la notte e di giorno superano costantemente i 40 gradi”. “I rifugiati – riferisce – sono sotto shock, sono fuggiti di notte spogliati di tutti i loro beni e nei loro villaggi l’Isis sta operando un saccheggio su vasta scala. Tutto viene smontato e portato via, anche gli infissi delle porte, i water, le finestre, gli interruttori della luce… Portano via tutto e lo vendono o distribuito tra i loro…”.
“Semmai i cristiani e gli yazidi torneranno nei loro villaggio troveranno solo lo scheletro delle loro case – aggiunge – La gran massa dei cristiani e degli yazidi sono demoralizzatissimi, quasi con le stesse parole mi hanno detto: ‘éortateci via da qui, qualunque paese europeo va bene, vogliamo andarcene’”.
Per il reporter di Tempi, questo atteggiamento “è giustificato da dieci anni di morti, rapimenti, taglieggiamenti, persecuzioni. I cristiani chiedono ai loro sacerdoti il certificato di battesimo per potersi recare in Turchia e negli uffici delle ONU chiedere di essere riconosciuti come perseguitati per motivi religiosi”.
Alla luce di tutto questo, secondo il giornalista è “legittimo e doveroso, dal punto di vista morale, umano e di rispetto dei diritti dei popoli e della giustizia, collaborare con aiuti militari nello sforzo delle forze irachene e curde per riconquistare i territori di cui l’Isis di è appropriato”.
“Si tratta di territori dove abitavano popolazioni innocenti e pacifiche a cui è stato preso tutto”, dice, “quello che viene razziato è utilizzato da un gruppo che ha creato un entità statale votata alla Guerra. L’Isis utilizza la violenza, la barbarie e la propaganda per terrorizzare le popolazioni e territori che intende conquistare. Pratica la tortura e l’assassinio nelle forme più brutali. Rapisce e violenta donne. Fa razzia di donne che vengono spartite tra i combattenti come bottino di guerra o vengono vendute all’asta nel mercato di Nakkasa nella città di Mosul”.
È molto chiaro, dunque, “da che parte sta l’aggressore e da che parte stanno gli aggrediti”. “Se non si interviene si è complici di una gravissima ingiustizia”, afferma Casadei, e rimarca che è “un dovere” intervenire a difesa dell’aggredito con i mezzi opportuni. “E’ necessario – conclude – che la Comunità internazionale possa aiutare anche militarmente le truppe irachene che cercano di recuperare i beni della popolazione ingiustamente razziata e perseguitata”.