Vittoriosi e anticonformisti. Come i martiri…

Alla Porta di Gwanghwamun di Seoul, il Papa celebra la Messa per la beatificazione di Paolo Yun Ji-chung e i 124 compagni, alla presenza di oltre un milione di persone

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È nato come un delicato e fragile fiore il cristianesimo in Corea del Sud, innaffiato con pazienza e fedeltà dalla evangelizzazione di coraggiosi laici che hanno preferito compiere un sacrificio di sangue, il proprio sangue, pur di non rinunciare ad annunciare il Vangelo del Signore in una terra altrimenti preda della ‘disperazione’. E quel fiore è germogliato negli anni, nei secoli, fino a diventare un grosso e robusto albero.

Questi martiri antichi saranno stati pure dei perdenti per il mondo, ma sono vittoriosi nel Cielo per la gloria di Cristo che ci ha resi partecipi della sua vittoria sulla morte e sul peccato. Una vittoria che adesso risplende in Paolo Yun Ji-chung e nei suoi 124 compagni, uccisi in odio alla fede tra il 1791 e il 1888, durante le persecuzioni contro i cristiani, che oggi Papa Francesco ha beatificato durante la Santa Messa alla Porta di Gwanghwamun di Seoul, alla presenza di circa un milione di persone.

Con il solenne rito – uno degli eventi più attesi del viaggio di Bergoglio in Corea del Sud, giunto al terzo giorno – il Pontefice argentino ha aggiunto i nomi sconosciuti e dimenticati di questi apostoli alla schiera di Santi martiri coreani come Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e i 103 compagni, canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1984. Proprio a loro Francesco ha fatto visita prima di celebrare la Messa, recandosi in auto nelle prime ore del mattino al Santuario di Seo So-Mun, che sorge sul luogo del massacro, per deporre una corona di fiori e raccogliersi in preghiera silenziosa.

Sempre a questi martiri il Pontefice rivolge poi il proprio pensiero durante l’omelia a Gwanghwamun. “Tutti vissero e morirono per Cristo ed ora regnano con Lui nella gioia e nella gloria”, dice. E sottolinea come “la vittoria dei martiri, la loro testimonianza resa alla potenza dell’amore di Dio” continui “a portare frutti anche oggi in Corea, nella Chiesa che riceve incremento dal loro sacrificio”.

Non solo: la celebrazione del beato Paolo e dei suoi compagni, evidenzia il Santo Padre, offre l’opportunità di rivolgere uno sguardo al passato e ritornare agli albori della Chiesa coreana, per far rivivere nella mente dei cattolici “le grandi cose che Dio ha compiuto in questa terra”.

E sono tante le meraviglie che il Signore ha realizzato nel popolo asiatico, a partire dal modo in cui, per una “misteriosa” provvidenza, la fede giunse ai lidi della Corea: non attraverso missionari, né sacerdoti, ma “attraverso i cuori e le menti della gente coreana stessa”, che “fu stimolata dalla curiosità intellettuale, dalla ricerca della verità religiosa”.

Non fu dunque una predicazione ad aprire la strada al cristianesimo in Corea ma il Vangelo stesso, la cui radicalità aprì e sconvolse la mente dei primi cristiani. I quali – rimarca il Santo Padre – “volevano conoscere di più su questo Cristo che ha sofferto, è morto ed è risorto dai morti”. Dal desiderio di apprendimento si passò presto “ad un incontro con il Signore stesso, ai primi battesimi, al desiderio di una vita sacramentale ed ecclesiale piena, e agli inizi di un impegno missionario”. Si formò quindi una comunità cristiana che traeva ispirazione dalla Chiesa primitiva, dove i credenti “erano veramente un cuore solo e un’anima sola, senza badare alle tradizionali differenze sociali”.

Una storia affascinante che dice molto anche sulla “importanza, dignità e bellezza della vocazione dei laici!”, evidenzia Bergoglio. E a braccio aggiunge: “I laici sono stati i primi apostoli della Corea”.

Proprio a loro sembra rivolto il prezioso messaggio contenuto nel Vangelo del giorno: in esso Gesù chiede al Padre “di consacrarci nella verità e di custodirci dal mondo”, ma non di “toglierci dal mondo”, evidenzia il Santo Padre. Cristo “invia i suoi discepoli perché siano lievito di santità e di verità nel mondo: il sale della terra, la luce del mondo. In questo, sottolinea, i martiri ci indicano la strada perché dopo aver piantato in Corea i primi sedi della fede furono costretti a “scegliere tra seguire Gesù o il mondo”. Essi “sapevano il prezzo dell’essere discepoli”: molti subirono la persecuzione e dovettero fuggire sulle montagne, formando villaggi cattolici. “Erano disposti a grandi sacrifici e a lasciarsi spogliare di quanto li potesse allontanare da Cristo: i beni e la terra, il prestigio e l’onore, poiché sapevano che solo Cristo era il loro vero tesoro”, osserva Papa Francesco.

Una consapevolezza, una fede, questa, che molto spesso traballa oggi di fronte alle prove del mondo, in cui “in moltissimi modi ci viene chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo”.

L’esempio dei martiri è allora, secondo il Vescovo di Roma, una provocazione che ci interroga “se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire”. Il loro sangue innocente apre gli occhi a noi pigri cristiani di oggi, ricordandoci di “mettere Cristo al di sopra di tutto” e insegnando “l’importanza della carità nella vita di fede”.

Proprio la carità è stata il fondamento che ha donato “purezza” alla testimonianza dei primi martiri, “manifestata nell’accettazione dell’uguale dignità di tutti i battezzati”, anche a costo di “sfidare” le rigide strutture sociali del tempo. “Fu il loro rifiuto di dividere il duplice comandamento dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo che li portò ad una grande sollecitudine per le necessità dei fratelli”. Un esempio, questo, che risuona con forza oggi, in una società dove – osserva il Papa – “accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà” e “raramente viene ascoltato il grido dei poveri”. Dunque, è solo seguendo l’esempio dei martiri che “comprenderemo la sublime libertà e la gioia con la quale essi andarono incontro alla morte”.

Allora la speranza di Francesco è che l’insegnamento dei martiri possa “ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo così alla pace e alla difesa dei valori autenticamente umani in questo Paese e nel mondo intero”. L’auspicio è dunque che le preghiere di tutti i martiri coreani, possano “in unione con quelle della Madonna, Madre della Chiesa, ottenerci la grazia di perseverare nella fede e in ogni opera buona, nella santità e nella purezza di cuore, e nello zelo apostolico di testimoniare Gesù in questa amata Nazione, in tutta l’Asia e sino ai confini della terra”.

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Per il testo integrale dell’omelia del Santo Padre cliccare qui

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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