Papa Francesco ha iniziato poche ore fa un viaggio di 5 giorni in Corea del Sud, una delle terre col maggior numero di martiri cristiani al mondo. E proprio al tema del martirio – elemento cruciale nella storia della Chiesa di ogni tempo – è dedicato l’ultimo libro di Gerolamo Fazzini, giornalista e saggista, collaboratore di Credere e Jesus ed editorialista di Avvenire. Si intitola Scritte col sangue. Vita e parole di testimoni della fede del XX e XXI secolo (San Paolo) e si apre con la prefazione di Enzo Bianchi, priore di Bose. Dopo Lo scandalo del martirio (Ancora 2006) e Il libro rosso dei martiri cinesi (San Paolo, 2008, traduzione in 5 lingue), per la terza volta Fazzini torna sul tema del martirio. ZENIT lo ha intervistato.
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Nel suo nuovo libro figura qualche nome di martire coreano?
No, perché ho preso in considerazione il periodo storico più recente. Ma se lo scrivessi oggi, certamente inserirei il nome di Agostino Nam, un giovane insegnante morto salvando la vita di decine di giovani durante il terribile naufragio del traghetto Sewol nel maggio scorso. “La sua vita – ha detto un giovane, suo amico – è stata una grande testimonianza di Cristo. È stato un vero maestro e un vero fedele. Un cattolico eccezionale”.
Il primo dato curioso di questo saggio è che parla di martiri, di “testimoni della fede”, laddove, però, non tutti sono di religione cattolica. Cosa accomuna Gandhi, Bonhoeffer, Hillesum, Kolbe e tanti altri citati nel libro?
Detto che la stragrane maggioranza dei personaggi che prendo in esame nel libro appartiene alla Chiesa cattolica, ho scelto – e lei giustamente lo rileva – di non escludere dal mio raggio di attenzione figure che, per la loro storia, le scelte compiute e il tipo di morte subita, hanno molto in comune con i martiri “classici” che la Chiesa cattolica onora. Nel volume quindi il lettore troverà anche testimonianze di cristiani di altre confessioni (anglicani, protestanti, valdesi), a indicare che la dimensione ecumenica della testimonianza “a caro prezzo” viene prima delle divisioni teologiche. Ma nel libro compaiono pure alcuni nomi di persone appartenenti ad altre religioni: una scelta che esprime la mia profonda convinzione per la quale i confini del Regno di Dio sono ben più ampi di quelli della Chiesa cattolica.
Il motivo conduttore dell’opera sono le Beatitudini evangeliche: con che criterio sono stati selezionati e categorizzati i vari martiri e testimoni?
Sarebbe stato più semplice – ma forse anche più prevedibile – raccogliere e presentare le storie dei testimoni di oggi seguendo un criterio cronologico o geografico. Se ho scelto un criterio diverso – riallacciandomi alle Beatitudini – è perché sono proprio i martiri di oggi i primi a pensarsi come membri del “popolo delle Beatitudini”. Leggiamo nel racconto dell’uccisione di suor Dorothy Stang, avvenuta nell’Amazzonia brasiliana: “Quando le si pararono davanti i due pistoleiros, suor Dorothy (…) tirò fuori dal suo zainetto la Bibbia, dicendo: ‘Questa è la mia arma’ e lesse alcune delle beatitudini di Matteo: ‘Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’”.
La scelta di ricordare così tanti personaggi – anche molto diversi tra loro per nazionalità, religione, cultura, orientamento politico – può essere letto come un incoraggiamento a superare degli steccati ideologici duri a morire?
Sì, è così. C’è una parte di Chiesa che conosce ed esalta (giustamente) monsignor Romero e i martiri dell’America Latina ma ignora o quasi le vittime del fondamentalismo islamico negli ultimi decenni e viceversa. A volte è persino accaduto che la memoria dei martiri sia stata usata strumentalmente, da una parte e dall’altra, come se la santità avesse a che fare con i nostri criteri mondani o, peggio ancora, con le logiche politiche (destra, sinistra…). La mia scelta, nel compilare questo libro, è stata piuttosto quella di seguire papa Francesco che addita la “classe media della santità”, ossia quel popolo – tanto numeroso quanto poco raccontato – composto di miti, di misericordiosi, di puri di cuore, di affamati e assetati di giustizia, di perseguitati per causa della fede, che ogni giorno, alle più diverse latitudini, mettono in pratica, con opere e parole, nient’altro che le Beatitudini. Quelle stesse Beatitudini che al catechismo di un tempo venivano chiamate la magna charta del cristiano.
Non è un’opinione ma un dato di fatto – lo ha ricordato più di una volta anche papa Francesco – che vi sono più martiri in questo secolo che non nei primi secoli del cristianesimo. Cosa rappresenta questo dato per noi?
Un appello e una responsabilità. Un appello: ad aprire gli orizzonti e a tenere sempre lo sguardo e il cuore aperto alle dimensioni del mondo, per imparare da tanti nostri fratelli la radicalità e il coraggio nella testimonianza della fede. Una responsabilità: perché noi che viviamo la fede in un Paese dove c’è libertà di religione, dobbiamo avere coscienza del fatto che molti nostri fratelli di fede sperimentano invece, proprio in virtù del loro credo, discriminazione, violenza, pericolo e a volte perfino la morte… La Giornata di preghiera di domani 15 agosto, promossa dalla CEI, è in questo senso un fortissimo richiamo che non va fatto cadere.