Maria è l’immagine della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo, lo specchio fedele di quello che ci accade ogni giorno: in noi è già seminato ed è vivo il miracolo della vita eterna, ma le nostre forze non hanno ancora potuto darlo alla luce.
Sentiamo dentro l’amore di Dio, come una donna incinta che vive ogni cosa in modo particolare, afferrata da una presenza misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge.
Intuiamo d’essere fatti per qualcosa che non si corrompa, che non resti impigliato nei ricordi e nei rimpianti.Ma, come per Elisabetta, abbiamo bisogno d’una visita che ci “colmi di Spirito Santo”, perché il miracolo di Grazia “sussulti nel grembo”. Abbiamo bisogno di Maria.
Non vi è altro motivo che l’amore gratuito e infinito di Dio, a spingere Maria, immagine della Chiesa, a “venire da noi” per annunciarci e donarci suo Figlio. Il suo “saluto” che risuona dove si cela il seme di eternità, è l’annuncio del Vangelo che desta la vita in un’“esultanza” di gioia: Dio s’è fatto carne nella nostra carne per fare santa la nostra vita.
“Shalom” annuncia Maria ad Elisabetta, come una profezia delle parole del Figlio risorto. “Pace” ci annuncia la Chiesa, come un’eco della vittoria di Cristo, laddove il mondo ode invece una dichiarazione di guerra, e arma l’ira, la ribellione, l’indignazione, i conati di chi sente defraudato dalle ingiustizie.
Dove i giudei hanno visto solo una donna rimasta incinta prima di sposarsi, e in Gesù solo carne e sangue uguali a quelli di tutti, Dio svelava il Mistero che ci avrebbe salvato: in Maria Egli gestava la carne di Gesù che avrebbe reso divina ogni carne. Per questo la storia ci dice “Pace!”: nella carne è disceso Dio, e tutto è ormai parte di un Cielo che non abbiamo ancora visto ma che possiamo cominciare a sperimentare.
Tutto di Maria era, da sempre, per il suo Figlio, e così tutto di Lui è stato per Lei. Maria ha offerto tutta se stessa per dare la vita terrena al suo Figlio, ed Egli ha donato a Lei la Vita immortale.
“Questo è il nucleo della nostra fede nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, in anima e corpo” (Benedetto XVI).Manon si tratta di un dogma solo perché proclamato da Pio XII il 1 novembre del 1950. In quel giorno il Papa ha sigillato la fede e l’esperienza viva e incontrovertibile della Chiesa.
Essa crede e annuncia ciò che sperimenta quotidianamente: Cristo è risorto ed è asceso al Cielo e da lì ha donato alla Chiesa il suo Spirito. Da quel giorno la vita della Chiesa, come il corpo e l’anima di Maria, è “assunta” in Cielo: pur camminando nella storia essa vive la vita di Cristo.
I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono, da allora, i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo che annunciano il Vangelo; ma sono anche i “passi” degli eventi e delle persone che, guardati con gli occhi di fede di Maria, ogni giorno ci abbracciano in un saluto che rivela l’autentico progetto di Dio: “Io so i pensieri che medito per voi, pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza” (Ger. 29,11).
Per esperienza i cristiani, nella moglie, nel marito, nei figli e colleghi, anche quando si fanno nemici e tolgono la vita, sanno discernere l’“avvenire” celeste che li attende; con ferma “speranza” possono allora consegnarsi alla croce e alla morte del proprio “io” che l’amore suppone, nella certezza che, proprio dove il mondo non può resistere e divorzia, abortisce, trascina in tribunale e scatena guerre, vi è deposta la Vita che non muore.
La fede di Maria, infatti, attesta che in loro accadrà quello che Lei ha sperimentato: la “beatitudine” per aver creduto alla predicazione; la “benedizione” tra tutte le donne e gli uomini per la fede che vince il mondo; la “benedizione” di vivere per Gesù, il “frutto del loro grembo”; donando la propria carne a Lui nell’amore, la vedranno trasfigurata e incorruttibile in Cielo, del quale sono una primizia i momenti più difficili, i roveti ardenti nei quali vivono, come Maria, senza che il fuoco delle passioni li consumi.
Così anche noi siamo chiamati ad annunciare che il Cielo esiste: attraverso la debolezza della nostra carne, evidente nella scontrosità del carattere, nelle nevrosi e nelle insicurezze, anche nelle ferite inferte dai peccati e trasfigurate dal sangue di Cristo, dalle quali la sua luce filtra e illumina i luoghi e i tempi della nostra vita.
Essa non attende futuri che non si realizzeranno mai – società civili senza macchia, con politici onesti, giudici giusti, banche solidali, famiglie senza tensioni – perché ha già conosciuto il riscatto dalla tirannia della superbia. Il Cielo, infatti, si affaccia sulla terra in coloro che, nella Chiesa, imparano a vivere come Maria, umile perché felice della sua realtà, l’unica possibile dove Dio compie l’impossibile.
Maria è nostra Madre e i nostri occhi assomigliano ai suoi, disegnati per vedere Dio in ogni istante; siamo chiamati, nel “timore” di perdere il suo amore, a “magnificare il Signore e Salvatore”, cantando la “misericordia” di Dio che “si stende di generazione in generazione” e non esclude nessuno.
La sua misericordia, infatti, permette i fallimenti umani che ci ridimensionano, per “disperdere” così “i pensieri superbi” annidati nei nostri cuori; attraverso una malattia o qualsiasi precarietà, il suo amore ci “rimanda a mani vuote” ogni volta che le riempiamo di idoli per farci “ricchi” di illusioni; solo così può “ricolmare di beni” incorruttibili la nostra fame di assoluto; anche oggi ci “rovescerà dai troni” che abbiamo costruito al lavoro, tra gli amici e in famiglia, per “innalzare” quanto di noi è “umile” e autentico, le debolezze che, come “Israele suo servo”, ci fanno forti con Lui (è il significato del nome Israele) perché “soccorsi” dalla sua fedeltà.
Con Maria siamo per il mondo il compimento della “promessa fatta ad Abramo e ai Padri”, la Vita “per sempre” offerta gratuitamente ad ogni uomo: “Dio non ci abbandona neppure nella e oltre la morte, ma ha un posto per noi… in Dio non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi…Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo, e accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene… Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio”(Benedetto XVI).