Per caso "onde" minacciose stanno agitando la tua vita?

Commento al Vangelo della XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Share this Entry

“Subito” dopo il segno dei pani e dei pesci, Gesù “ordina” ai suoi discepoli di “salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda”. Ed essi obbediscono. Gesù, infatti, non ha “costretto” qualcuno della “folla”, ma coloro che avevano camminato con Lui. Potevano inoltrarsi in quel mare nella “sera” perché avevano visto e sperimentato che Gesù ha il potere di riempirla di luce e di vita.

Potevano obbedire perché ciascuno di loro era il frutto della sovrabbondanza di vita del Signore; non “furono portate via dodici ceste piene dei pezzi avanzati”? Eccoli allora i dodici “portati via” da Gesù verso un’altra esperienza.

I discepoli, infatti, “salgono” sulla “barca”, e sono immagine di quanti erano accolti dalla Chiesa e avevano iniziato il percorso che li iniziava alla fede in vista del battesimo.

Ed è quello che il Signore ha fatto con noi. Attraverso gli apostoli ci ha annunciato il Vangelo e ci ha accolto nel seno di una comunità concreta. Ci ha sfamato, per sperimentare il suo amore mentre sulla nostra vita calava la “sera” dei peccati; abbiamo visto come la sua “benedizione” ha trasformato in “bene” ogni male.

Ma non basta. La “barca” deve fare la sua traversata, come noi il nostro cammino di fede, per sperimentare la risurrezione di Cristo, il suo potere sul peccato e sulla morte che i cristiani sono chiamati ad annunciare al mondo.

Non è cristiano, infatti, chi non è testimone e araldo del Vangelo. Per formare i suoi apostoli Gesù doveva dunque portarli in quella situazione. Altrimenti, di fronte alle persecuzioni e alle sofferenze, sarebbero restati impigliati nel “se” di Pietro.

Per questo Lui rimane a terra a pregare, solo. E “costringe” i discepoli ad entrare nel mare senza la sua presenza nella carne, profezia di ciò che sarà la navigazione della Chiesa nella storia. E sperimenteranno che non erano soli, perché Lui era lì con loro per mezzo della sua preghiera solitaria: i discepoli nella barca, e Lui intercedeva per loro. I discepoli lottavano con le onde e il vento, Lui combatteva contro il demonio.

E’ qui lo snodo fondamentale di ogni iniziazione cristiana. Per caso “onde” minacciose stanno “agitando” la tua vita? Come stai reagendo alle opinioni e ai fatti “contrari”?

Forse ti stai ribellando perché non accetti la tua situazione; non la capisci e mormori. Stai giudicando il fratello, ritenendolo responsabile delle tue sofferenze. Magari stai imprecando contro Dio, che sta permettendo questo.

La verità è che, nonostante le esperienze di Dio, siamo ancora “fuori” dalla realtà. Perché essa

non è solo la tempesta: come sperimentò Elia sull’Oreb, “il Signore non è nel vento, né nel terremoto e nel fuoco, ma nel mormorio di un vento leggero”. Il Signore è dentro gli avvenimenti come uno Spirito di vita più forte della morte.

Gli apostoli lo dovevano scoprire. Come tu ed io, irati e delusi, dobbiamo salire sulla barca ed entrare nella storia. E, finalmente “lontani dalla riva”, che cosa scopriremo? Che abbiamo “paura”. Il problema non è la tempesta, ma il nostro cuore. E’ lì che la realtà comincia ad apparire per quello che non è, perché, come fece con Adamo ed Eva, nel cuore il demonio semina la paura e ci induce a spostare l’attenzione sulla superfice del mare, a fissare il vento e le onde, e accettare che sì, Dio non mi ama.

Gesù dà quell’“ordine” per liberare dalla paura i discepoli e strappare al caos quella “barca” come una primizia nel mondo, perché nel mare in tempesta sia un sacramento di salvezza per tutti.

Proprio esso rivela l’amore di Dio che vuole ricrearci, ridare cioè “ordine” alla nostra vita, perché dove c’è disordine e caos, non c’è Dio ma il demonio.

Ascoltiamo il Vangelo, ci sembrerà un filmato in dissolvenza nel quale si sovrappongono la Passione e gli eventi del brano odierno: Gesù “ordina” ai discepoli di salire sulla barca, il Padre “comanda” a Gesù di salire sulla croce; i venti contrari e le onde si avventano sull’imbarcazione, Gesù è davanti a Pilato e alla folla, il flagello, gli sputi, gli insulti si abbattono su di Lui, e infine è inchiodato sul legno della Croce; la barca sembra affondare e Gesù è deposto nel sepolcro.

Ma qui la dissolvenza sfuma, perché Cristo risorge, ed ecco, “cammina sulle acque”, mentre gli apostoli sono ancora in balia della tempesta. Proprio qui si dà il cuore dell’esperienza cristiana:

per arrivare alla risurrezione il Signore doveva entrare nella morte, per questo gli apostoli e ognuno di noi, per giungere alla fede adulta deve passare per la tempesta.

Per questo Dio ci ha messo in questa storia concreta avvolta nella notte. Gesù sapeva che la “barca” sarebbe stata “agitata dalle onde”, come sa cosa ci attende in ogni istante della nostra vita. E proprio lì ci “viene incontro”, camminando su quello che ci fa paura.

Ma per i discepoli, ancora “uomini di poca fede”, l’immagine di quell’uomo che camminava sulle acque era contraria a ogni legge della natura; quella appunto dell’uomo vecchio, che ha ancora il pensiero del mondo.

E che cos’è per il mondo un “fantasma”? E’ l’uomo che vive il discorso della montagna, il cristiano che ha la vita celeste e cammina sulle acque della morte.

E per te e per me cos’è un “fantasma”? Sei tu che entri mite nella malattia, che accetti le ingiustizie, che ami il nemico. Tu che vivi la vita di Cristo.

In fondo, come per i discepoli, anche per noi Cristo è un “fantasma”. Di fronte alla storia ci chiediamo se sia Lui che cammina sulle acque che ci stanno uccidendo o se non sia un’allucinazione, frutto della cultura nella quale siamo nati o degli insegnamenti ricevuti.

Per saperlo, per aver fede, non c’è altro cammino che quello percorso da Pietro. Rischiare con Gesù e chiedergli di fare la sua stessa esperienza.

“Se sei tu, comanda che venga da te sulle acque”. Quel “se” deve emergere dal cuore per poter scomparire nel nuovo “ordine” di Gesù; altrimenti, continueremo a dubitare che essere cristiani sia possibile.

Gesù accoglie il “se” di Pietro, come anche i nostri dubbi. Non si scandalizza, e ci chiama. “Vieni!” cammina su quest’onda che sta travolgendo il tuo matrimonio. E Pietro cammina, e noi con lui: è tutto vero, è il Signore, ho perdonato mio marito, e che gioia. Ma…

Ma il vento è forte, e il demonio torna all’attacco, sollecitando la ragione e la sua carne. E’ impossibile camminare sull’acqua… Tuo marito ti ha tradito ancora, e di nuovo la voce satanica a sbatterti in faccia la tua debolezza: non ce la farai a perdonarlo un’altra volta, lascialo, divorzia…

E’ un attimo, Pietro lo ascolta e smette di fissare Gesù, e si ritrova di nuovo solo, con la sua debolezza. Ed eccoti pronta a mollare tutto, incapace di amare sino in fondo.

Ma proprio ora Pietro può gridare dal fondo del suo cuore, tendere la mano come Mosè, e incontrare quella di Gesù pronta ad “afferrarlo”.

In quel momento Pietro è immagine di ogni catecumeno giunto al momento decisivo del suo cammino di fede; esso coincide con la “fine della notte”, quando l’alba della risurrezione si fa strada con il suo chiarore. Pietro è sceso ormai nella vasca battesimale; è nudo, senza difese, e può lasciare nell’acqua il suo uomo vecchio per entrare nel giorno che non conosce tramonto.

Ora sul suo corpo afferrato dalle onde e sulla sua voce impaurita torna la dissolvenza di Gesù, inghiottito dalla morte e risuscitato. Come sulla nostra vita di oggi, sulla crisi del matrimonio, su ogni situazione.

Pietro stava facendo la stessa esperienza di Gesù. E come per lui, anche per noi solo l’estrema debolezza può conoscere la forza infinita del Signore risuscitato.

La sua realtà di “uomo di poca fede” gli ha sv
elato l’identità di Gesù. La consapevolezza della sua povertà ha cancellato quel “se” che lo turbava: sì, possiamo sperimentare che oltre le onde del peccato e il vento “vuoto” delle vanità del mondo, dietro all’apparenza che ci turba, c’è la mano di Dio. Che oltre il peccato c’è la misericordia.

E questo è proprio il primo passo, quello decisivo, dell’uomo nuovo: scoprirsi senza fede, per implorarla, giorno dopo giorno, istante dopo istante. Solo così potremo tendere la mano e lasciarci condurre da Cristo a compiere la volontà del Padre, per rientrare nella barca e vedere il “vento cessare”.

Ciò significa che sapremo vedere l’amore di Dio anche nella notte di un mare in tempesta, nella certezza; che è Dio a portarci lontano “qualche miglio da terra”, in preda del “vento contrario e delle onde”, secondo un disegno di salvezza per noi e per il mondo.

Allora nessun “se” ci ingannerà e finalmente ci “prostreremo davanti” a Lui abbandonando il nostro orgoglio, per professare, in ogni evento, la nostra fede “esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio!”. 

Share this Entry

Antonello Iapicca

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione